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Il mio libro in vendita

mercoledì 19 agosto 2009

6.6.2 Il pasticciere



Durante le grandi feste della Chiesa e quando il grano si vendeva a poco prezzo sul mercato, i panettieri utilizzavano un po’ di farina per preparare dolci e pasticci con ripieni diversi; con una pasta leggera non lievitata, presa tra due ferri piatti roventi, confezionavano le “cialde”. Per le ciambelle, che si facevano sbollentare prima di farle seccare al forno, era invece necessaria una pasta lievitata e lavorata a lungo. I panettieri potevano anche aggiungere latte, uova e aromi alla pasta per il pane.
La novella CLXXXVII ci fornisce uno spunto sui cui riflettere; presenta un campionario di vivande inventate, con tanto di definizioni: “gatta coniglio” e “topistornelli”, infatti, sono i due nomi con cui queste nuove vivande vengono designate. Una volta di più, il lettore è introdotto nell’atmosfera culinaria dal nome del protagonista, “Dolcibene”, che già suggerisce, seppure allusivamente, una prospettiva gastronomica; costui è invitato a mangiare dal piovano della Tosa, il quale “tenea Santo Stefano in Pane”, con la promessa di cibarsi di un coniglio in crosta, probabilmente corrispondente alla ricetta che va sotto il nome di “pasticcio di coniglio”, che prevede che l’animale sia avvolto in una crosta di pasta soda e così cotto. In realtà, sotto la crosta, c’è una gatta: quando Dolcibene se ne accorge decide di vendicarsi, preparando a chi lo ha beffato una cena a base di topi :

“E giunto a casa, tolse due pippioni e otto sorgi, i quali acconciò per fare una crosta, levando i capi, e le gambe, e' piedi, e le code, arrocchiandogli per mezzo, sí che nella crosta pareano proprii stornelli; e mescolò due pippioni a quarti tra essi, e della carne insalata, e fece fare la crosta; e 'l fante mandò a vendere l'avanzo.
Giunta l'ora della cena, la brigata s'appresentò a casa messer Dolcibene. Come li vide, disse:
- Voi non manicherete istasera se non della gabbiata che toglieste, sí che non sperat'altro.
E cosí di motto in motto se n'andorono a mensa. E venendo la crostata, dice il piovano:
- Aveteci voi messo alcuno pollastro dentro?
E messer Dolcibene disse:
- La colombaia mia non ne fa; io n'ho fatta una crosta di pippioni e stornelli.”

È interessante soffermarsi sui dettagli culinari della novella. I cibi qui presentati sono tutti in crosta, secondo un’abitudine molto diffusa; a volte la degustazione di questi piatti poteva riservare delle sorprese [...]


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