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Il mio libro in vendita

mercoledì 19 agosto 2009

Conclusione



Il Trecentonovelle, come fonte per la storia dell’alimentazione del basso Medioevo, si rivela una miniera di informazioni davvero interessanti: la piacevole lettura delle novelle ci restituisce un sottile quadro degli usi e delle consuetudini alimentari dell’epoca molto veritiero e caratteristico.
L’elemento specifico che balza subito all’occhio, considerando le abitudini dei personaggi e le tipologie di animali che vengono allevate nei poderi rurali, è la struttura della società bassomedievale, una società che è ancora aggrappata all’agricoltura, punto fermo per il sostentamento della maggior parte delle famiglie. I personaggi del Trecentonovelle costituiscono lo specchio di questa società: contadini, artigiani, fornai, beccai, mugnai e tavernieri sono coloro che, con le loro attività, muovono gli ingranaggi del nuovo apparato urbano. Le stesse vicende raccontate dal Sacchetti, spesso e volentieri, hanno come fulcro proprio i frutti della terra o quelli di origine animale.
Nonostante ciò, si avverte l’eco della corrosione del sistema agro-silvo-pastorale per favorire la realizzazione di nuovi insediamenti. Le novelle, ambientate generalmente all’interno delle cinte murarie, non solo ci svelano centri urbani pullulanti di uomini, ma anche un cambiamento in atto nel modus vivendi della popolazione.
La vendita sui banchi della carne, del pesce, degli ortaggi e di qualche frutto, e le attività artigianali sviluppate nei centri cittadini danno linfa al risveglio commerciale che, prima nella sfera rurale e poi in quella urbana, vede ovunque affiancata la tradizionale economia di sussistenza da una nuova economia di mercato. E spesso anche i contadini, portando a vendere ai mercati le uova e il formaggio in eccedenza, diventano parte integrante del meccanismo.
Raggiungere l’equilibrio alimentare diventa sempre più arduo tramite lo sfruttamento delle risorse naturali dell’incolto, anche perché i terreni rimasti vengono riservati alla coltura intensiva dei cereali. In questo modo le coltivazioni si distendono, in principio nelle pianure poi nelle colline fino ad invadere le montagne. Il Sacchetti non ci fornisce molti particolari sulla coltivazione dei cereali, ma forse è proprio questa omissione a confermarne l’uso; d’altronde se pensiamo al leitmotiv delle novelle, è facile dedurre che il pane, in quanto alimento base, non veniva decantato alla stregua del cappone o dell’oca, vivande che, già di per sé, destavano la curiosità del lettore e, soprattutto, si prestavano meglio alle bizzarre situazioni narrate. Ma ci basta prendere in considerazione solo un episodio (quello che vede l’arresto di un uomo che, al cospetto di un nobile, mangia il pane con la pasta in tempo di carestia), per capire quanto siano ritenuti preziosi i cereali e per meglio comprendere come il termine carestia abbia cambiato connotazione con il passare degli anni. Se nell’alto Medioevo si presta a una vasta gamma di interpretazioni, riferendosi alle crisi forestali non meno che a quelle agricole, in seguito si restringe ad un significato univoco, indicando più semplicemente il cattivo raccolto e la penuria di cereali. I cereali diventano, in sostanza, l’elemento basilare e sempre più determinante della dieta contadina (spesso nelle novelle vengono citate pappe, farinate e polente ottenute con i cereali più poveri), mentre lo sfruttamento dei boschi diventa sempre più inconsueto e malagevole: di foreste ce ne sono sempre meno e quelle residue sono soggette alle limitazioni, ai divieti di caccia e di pascolo. La caccia viene vissuta quasi come un momento liturgico per i nobili che, con tanto di equipaggio al seguito, amano concedersi momenti di svago nelle loro tenute. La restrizione dei boschi ha, di conseguenza, determinato anche la forzata stabulazione degli animali (soprattutto il maiale) che trovano alloggio in stanze, spesso contigue a quelle dei loro padroni. Anche i suini pagano le conseguenze dei cambiamenti sociali: rinchiusi nelle stalle o costretti a vagare spaesati per i vicoli della città, la loro presenza si assottiglia per dare spazio agli animali da cortile molto più semplici da accudire.
Ridotte le opportunità dello sfruttamento dell’incolto, viene a mancare l’apporto della carne nella dieta quotidiana; i contadini si riducono a semplici consumatori di cereali, legumi e ortaggi, e si assiste ad una progressiva divergenza del loro regime alimentare da quello dei ceti più agiati della società. E il Sacchetti traccia perfettamente tale situazione: dalle novelle emerge l’essenzialità dell’orto, ma anche l’alimentazione sfarzosa dei ceti benestanti, soprattutto a base di pesce e carne arrosto. In un episodio (un podestà che consuma un pasto a base di verdura viene guardato con stupore dal suo compagno), si avverte proprio l’idea, ben radicata nella società dell’epoca, che il nobile deve mangiare parecchio e bene [...]


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