Nella novella CCIX emergono due elementi particolarmente sintomatici: l’anguilla viene trasportata dai messi alla fonte all’interno di un orciuolo d’acqua:
“[...] eglino andorono tanto cercando a' pescatori ch'egli ebbono una anguilla viva di circa due libbre, e con questa in uno orciuolo d'acqua se n'andorono verso la Badía a Candegghi;[...]”
Questo ci fa pensare che le difficoltà di trasporto di questo animale non dovevano essere poche: l’anguilla, tuttavia, per la sua capacità di sopravvivenza all’interno di ceste piene d’erba per parecchi giorni, riusciva ad essere trasportata pure nelle zone più lontane dalle coste e dai laghi; anche per questa ragione, dunque, doveva essere tra i pesci più consumati sulle tavole medievali, con la lampreda e la tinca. L’anguilla viene catturata con un reticello ma l’operazione risulta molto complicata a causa della scivolosità dell’animale, dettaglio confermato dall’esperienza quotidiana.
Nella novella CCVIII apprendiamo, invece, che i granchi venivano pescati “con ami e con lenze e con reticelle di minore maniera”. Nella novella CCXVI non sono gli arnesi a determinare una buona pesca bensì l’influsso dei corpi celesti. Alberto della Magna si reca in un albergo lombardo per riposare e ristorarsi. Nota moltissime reti per pescare e, vinto dalla curiosità, chiede delucidazioni sulla quantità di pesce pescato dall’albergatore. L’uomo desolato gli risponde mestamente che non ne riesce a prendere mai abbastanza. Alberto decide così di fabbricare un pesce di legno per aiutarlo. Gli spiega che quell’oggetto, legato alla rete, gli consentirà di catturare un numero di pesci così grande che potrà maritare le sue figliole:
“Allora maestro Alberto, innanzi che la mattina si partisse dall'albergo, ebbe fabbricato un pesce di legno, e chiamò a sé l'oste e disse:
- Togli questo pesce, e legalo alla rete quando tu peschi, e piglierai con esso sempre grandissima quantità di pesci;[...]”
Il giorno dopo Alberto parte per la Germania e il pescatore pesca in abbondanza fino a diventare ricco da maritare le sue sette figliole. Ma un giorno la fortuna gli gira le spalle: il pesce di legno si sgancia dalla rete e finisce nel Po. Da quel momento l’uomo cade in disgrazia e, per porre fine alla disperata situazione, decide di recarsi in Germania per chiedere ad Alberto un altro amuleto. Ma ciò non è più possibile perché gli astri non sono più disposti a conferire quelle virtù benefiche all’oggetto di legno:
“- Figliuol mio, ben vorrei poterti fare quello che mi addomandi; ma io non posso; però che io ti fo assapere che quando ti feci quello pesce che io ti diedi, il Cielo e tutti i pianeti erano in quell'ora disposti a fare avere quella virtú a quel pesce; e se io o tu volessimo dire: questo punto o questo caso può ritornare, che un altro se ne possa fare con simile virtú, e io ti dico di fermo e di chiaro che questo non può avvenire di qui a trentasei migliaia d'anni: sí che or pensa, come si può rifare quello che io feci.”
L’oste è così condannato a rimanere povero per sempre.
La vicenda ci dimostra come era tutt’altro che insolito [...]
“[...] eglino andorono tanto cercando a' pescatori ch'egli ebbono una anguilla viva di circa due libbre, e con questa in uno orciuolo d'acqua se n'andorono verso la Badía a Candegghi;[...]”
Questo ci fa pensare che le difficoltà di trasporto di questo animale non dovevano essere poche: l’anguilla, tuttavia, per la sua capacità di sopravvivenza all’interno di ceste piene d’erba per parecchi giorni, riusciva ad essere trasportata pure nelle zone più lontane dalle coste e dai laghi; anche per questa ragione, dunque, doveva essere tra i pesci più consumati sulle tavole medievali, con la lampreda e la tinca. L’anguilla viene catturata con un reticello ma l’operazione risulta molto complicata a causa della scivolosità dell’animale, dettaglio confermato dall’esperienza quotidiana.
Nella novella CCVIII apprendiamo, invece, che i granchi venivano pescati “con ami e con lenze e con reticelle di minore maniera”. Nella novella CCXVI non sono gli arnesi a determinare una buona pesca bensì l’influsso dei corpi celesti. Alberto della Magna si reca in un albergo lombardo per riposare e ristorarsi. Nota moltissime reti per pescare e, vinto dalla curiosità, chiede delucidazioni sulla quantità di pesce pescato dall’albergatore. L’uomo desolato gli risponde mestamente che non ne riesce a prendere mai abbastanza. Alberto decide così di fabbricare un pesce di legno per aiutarlo. Gli spiega che quell’oggetto, legato alla rete, gli consentirà di catturare un numero di pesci così grande che potrà maritare le sue figliole:
“Allora maestro Alberto, innanzi che la mattina si partisse dall'albergo, ebbe fabbricato un pesce di legno, e chiamò a sé l'oste e disse:
- Togli questo pesce, e legalo alla rete quando tu peschi, e piglierai con esso sempre grandissima quantità di pesci;[...]”
Il giorno dopo Alberto parte per la Germania e il pescatore pesca in abbondanza fino a diventare ricco da maritare le sue sette figliole. Ma un giorno la fortuna gli gira le spalle: il pesce di legno si sgancia dalla rete e finisce nel Po. Da quel momento l’uomo cade in disgrazia e, per porre fine alla disperata situazione, decide di recarsi in Germania per chiedere ad Alberto un altro amuleto. Ma ciò non è più possibile perché gli astri non sono più disposti a conferire quelle virtù benefiche all’oggetto di legno:
“- Figliuol mio, ben vorrei poterti fare quello che mi addomandi; ma io non posso; però che io ti fo assapere che quando ti feci quello pesce che io ti diedi, il Cielo e tutti i pianeti erano in quell'ora disposti a fare avere quella virtú a quel pesce; e se io o tu volessimo dire: questo punto o questo caso può ritornare, che un altro se ne possa fare con simile virtú, e io ti dico di fermo e di chiaro che questo non può avvenire di qui a trentasei migliaia d'anni: sí che or pensa, come si può rifare quello che io feci.”
L’oste è così condannato a rimanere povero per sempre.
La vicenda ci dimostra come era tutt’altro che insolito [...]
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