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Il mio libro in vendita

mercoledì 19 agosto 2009

2.1 Fauna e tecniche venatorie



Nelle novelle del Sacchetti la caccia viene essenzialmente praticata dal ceto nobiliare, i contadini e gli artigiani allevano gli animali presso i loro cortili o li acquistano già macellati al mercato. Ciò non significa che le classi più povere non praticassero questa attività, sicuramente non la disdegnavano, ma la esercitavano in maniera più ridotta rispetto ai nobili.
Per avere quantomeno un’idea di quali potevano essere gli animali preda delle classi meno agiate, consideriamo la novella CLXXXVII: Messer Dolcibene viene invitato a mangiare dal piovano della Tosa un coniglio in crosta. Anche se la pietanza risulta essere una gatta, questo dato è, in ogni caso, sintomatico: la selvaggina di piccola taglia veniva consumata e forniva un apporto alimentare rilevante e regolare alla tavola. Nel caso del coniglio, poi, bisogna dire che la sua carne era molto apprezzata: più, sembra, di quella di lepre, troppo dolciastra e secca Nella stessa vicenda, Messer Dolcibene decide di vendicare lo scherzo subito preparando un piatto a base di piccioni e topi da offrire al pievano:

“Giammai non gli uscí questo fatto della mente, fin a tanto che venendo la figliatura delli stornelli, de' quali era molto copioso a un suo podere in Valdimarina, e in quello tempo provvide di pigliare con trappole e con altri ingegni in un suo granaio parecchi sorgi, acciò che gli avesse presti e ordinò con un suo fante che una gabbiata di stornelli gioveni, mescolatovi alcuno pippione, recasse dopo desinare quando lo vedesse col piovano al Frascato, e paresse gli portasse in mercato a vendere, dicendo con lui: «Per quanto volete voi che io gli dia?»”

In questo caso sia il coniglio sia i piccioni facevano parte di quella moltitudine di animali diffusi un po’ ovunque e che normalmente venivano catturati nella pianure o nei boschi, ma nella novella non è dato sapere se erano stati allevati o prede.
Emerge dalla lettura un altro elemento su cui vale la pena soffermarsi: Messer Dolcibene cattura i topi “con trappole e con altri ingegni”; anche se i roditori costituiscono l’oggetto di uno scherno, è utile sottolineare che per acciuffare le prede di piccola taglia vi erano delle tecniche specifiche: l’arma più comune era l’arco, talvolta impiegato con frecce avvelenate; dopo il loro uso, era ovviamente necessario incidere la carne dell’animale attorno al punto colpito, per evitare di ingerire la sostanza velenosa, per lo più preparata con erbe tossiche; l’uso di questo strumento caratterizzava i momenti più ludici della caccia. Per la caccia da tiro si disponeva inoltre della fionda e della balestra ma, come ci suggerisce la novella, assai più diffuso doveva essere l’uso di trappole, fossi, lacci di ogni genere [...]


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