Nella raccolta del Trecentonovelle (X, XVI, XXXI, XXXIV, CCXIV, XXXVI ecc.) gli equini, invece, compaiono esclusivamente come nobili mezzi di trasporto per le persone o nella veste di generosi trasportatori di merce; non appaiono tuttavia riferimenti gastronomici in merito alla loro carne. Nella novella X il cavallo è il fidato corsiero del secondo cavaliere di corte Messer Dolcibene, nella XVI è un semplice mezzo per gli spostamenti di un giovane senese:
“E sceso giuso, e salito a cavallo, cavalcò verso Siena quasi quattro balestrate, e poi diede la volta ritornando passo passo e cheto verso l'albergo donde si era partito;[...]”
Anche nella Novella XXXI, che ha come protagonisti due ambasciatori del Casentino, il suo ruolo è puramente marginale: “- Saliamo a cavallo, e andiamo con Dio; forse tra via pur ce ne ricorderemo.”. Invece nella CCXIV l’animale viene utilizzato per trasportare un porco rubato e appena ucciso da alcuni contadini. La mole del maiale e il percorso malagevole riducono la ronzina allo stremo delle forze:
“[...] e poi con gran pena e con grande affanno, consumando grand'ora della notte, il puosono su la ronzina; e a grande stento, camminando con la cavalla, che molto male potea quella soma, giunsono alla magione del gentiluomo; là dove la ronzina giunse stracca, e in fine guasta, che mai piú non fu da farne conto.”
Nella novella XXXVI è il fedele destriero che conduce il fiorentino Geppo Canigiani a Firenze in tempo per avvisare i Signori di un’imminente guerra con i Pisani:
“E così salito a cavallo, a spron battuti n'andò al palagio de' Priori a smontare; e andato dinanzi a' Signori, disse che venía da San Casciano, e ch'e' nimici con grandissimo romore ne veníano verso Firenze.”
Non c’è da meravigliarsi, in effetti il cavallo veniva trattato come un confidente: l’aratore gli parlava nei campi, il guerriero pochi istanti prima della carica, il mercante nelle scuderie, la dama in viaggio; era un vero e proprio simbolo di prestigio e perfino di dominio sugli altri, tanto che il nobile del Medioevo si distinse in primo luogo come possessore di un cavallo, come cavaliere. Inoltre, il suo impiego come bestia da soma, soprattutto nell’Europa del Nord, gli riservava un ruolo di primo piano nella storia del lavoro (ad esclusione dell’alto Medioevo). Paradossalmente l’attenzione riservata a questo animale, al suo addestramento e alle sue cure, ha restituito ai posteri più trattati di ippiatria che di pediatria .
Le novelle del Sacchetti ci hanno presentato il cavallo come elemento di distinzione sociale, come abile animale da sella e da fatica, ma un quesito rimane tuttavia scevro di risposta certa: la carne della bestia, vecchia o ferita, veniva anche consumata? È probabile che [...]
“E sceso giuso, e salito a cavallo, cavalcò verso Siena quasi quattro balestrate, e poi diede la volta ritornando passo passo e cheto verso l'albergo donde si era partito;[...]”
Anche nella Novella XXXI, che ha come protagonisti due ambasciatori del Casentino, il suo ruolo è puramente marginale: “- Saliamo a cavallo, e andiamo con Dio; forse tra via pur ce ne ricorderemo.”. Invece nella CCXIV l’animale viene utilizzato per trasportare un porco rubato e appena ucciso da alcuni contadini. La mole del maiale e il percorso malagevole riducono la ronzina allo stremo delle forze:
“[...] e poi con gran pena e con grande affanno, consumando grand'ora della notte, il puosono su la ronzina; e a grande stento, camminando con la cavalla, che molto male potea quella soma, giunsono alla magione del gentiluomo; là dove la ronzina giunse stracca, e in fine guasta, che mai piú non fu da farne conto.”
Nella novella XXXVI è il fedele destriero che conduce il fiorentino Geppo Canigiani a Firenze in tempo per avvisare i Signori di un’imminente guerra con i Pisani:
“E così salito a cavallo, a spron battuti n'andò al palagio de' Priori a smontare; e andato dinanzi a' Signori, disse che venía da San Casciano, e ch'e' nimici con grandissimo romore ne veníano verso Firenze.”
Non c’è da meravigliarsi, in effetti il cavallo veniva trattato come un confidente: l’aratore gli parlava nei campi, il guerriero pochi istanti prima della carica, il mercante nelle scuderie, la dama in viaggio; era un vero e proprio simbolo di prestigio e perfino di dominio sugli altri, tanto che il nobile del Medioevo si distinse in primo luogo come possessore di un cavallo, come cavaliere. Inoltre, il suo impiego come bestia da soma, soprattutto nell’Europa del Nord, gli riservava un ruolo di primo piano nella storia del lavoro (ad esclusione dell’alto Medioevo). Paradossalmente l’attenzione riservata a questo animale, al suo addestramento e alle sue cure, ha restituito ai posteri più trattati di ippiatria che di pediatria .
Le novelle del Sacchetti ci hanno presentato il cavallo come elemento di distinzione sociale, come abile animale da sella e da fatica, ma un quesito rimane tuttavia scevro di risposta certa: la carne della bestia, vecchia o ferita, veniva anche consumata? È probabile che [...]
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