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venerdì 3 febbraio 2012

Il pesce nel Medioevo



Il Papa Goloso di anguille. Martino IV, al secolo Simon de Brion, dopo aver fatto una scorpacciata di anguille (del lago di Bolsena) annegate nella vernaccia e poi preparate arrosto (e speziate per benino) era solito esclamare "O sanctus Deus, quanta mala patimur pro Eclesia Dei". Il religioso fu così ghiotto di cotale pietanza che Dante non si dimenticò di riservagli un ruolo nella Divina Commedia (nel Purgatorio). Ecco il verso che si riferisce proprio a Papa Martino IV: "Purgo per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia".
Perchè l'ingordigia di Martino IV viene ricordata a distanza di anni? Nel Medioevo l’anguilla rappresentava per la sua forma di serpente una leccornia proibita, un simbolo del peccato originale. Lo smodato consumo di cotale cibo da parte di un Papa non poteva passare inosservato agli storici e così divenne pretesto di scandalo. Questo pesce, inoltre, era molto legato alla satira anticlericale del tempo, che associava "le grasse anguille alle facce rubiconde dei monaci e dei canonici". Martino IV morì a Perugia nel 1285 e per alcuni storici la cagione fu  proprio una indigestione di anguille pescate nel lago di Bolsena. Anche il Regimen sanitatis conferma la pericolosità morale delle anguille: "a Venere spingono i pesci e tutti i cibi salati"; segue un elenco di pesci, tra cui è compresa l’anguilla, di cui si aggiungono altre caratteristiche, quali quella di nuocere alla voce, di essere più dannosa se ingerita con il formaggio, e meno se accompagnata dal vino.

Un cibo abbondante. Nel Medioevo il consumo del pesce era decisamente diffuso e alla portata di tutti. Nel mare, nei laghi, nei fiumi, perfino nelle paludi era possibile pescarlo. La cultura del tempo era profondamente legata alla religione Cristiana che al pesce riservava un ruolo biblico e vangelico; 2/3 dell'anno, poi, erano riservati alle feste religiose. E' facile intuire che nei monasteri se ne consumasse in ingenti quantità dato che i monaci non potevano mangiare carne. Ma considerare l’utilizzo di questo alimento come una scelta penitenziale, stante la prelibatezza di certi suoi esemplari, quale, appunto, l’anguilla ci riesce difficile. Non a caso, l’abate Guido di Pomposa (sec. XI) viene ricordato per aver precluso ai monaci il consumo di pesce per tre volte la settimana, a conferma di quanto questo alimento fosse gradito e causa di peccati di gola, colpa fortemente condannata nel Medioevo.

Il mercato del pesce. Nei torrenti vicini ai monasteri di montagna si pescavano trote, anguille, lasche, barbi, e gamberi. Il consumo di pesce era talmente alto che nei centri delle città ne veniva allestito il commercio. Era soprattutto durante il periodo di Quaresima che i pescivendoli facevano grandi affari. Le leggi che regolavano la vendita dell'alimento erano molto severe: il pesce era soggetto a controlli minuziosi e doveva essere fresco per poter essere offerto ai clienti

Un alimento difficile da trasportare. Sebbene il pesce fosse uno degli alimenti più richiesti e consumati nel Medioevo, soprattutto nei periodi di magro, le difficoltà di trasporto di questo animale ne limitavano l'impiego di certe varietà: l’anguilla, tuttavia, per la sua capacità di sopravvivenza all’interno di ceste piene d’erba per molti giorni, riusciva ad essere trasportata anche nelle zone più lontane dalle coste e dai laghi; pure per questa ragione, dunque, doveva essere tra i pesci più consumati sulle tavole medievali, insieme alla lampreda e alla tinca.


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