Segui il blog su Facebook e Twitter



X

Il mio libro in vendita

mercoledì 19 agosto 2009

1.4 Il piccolo allevamento domestico



Notevole importanza doveva avere il piccolo allevamento domestico. Polli, galline e capponi, con ogni probabilità, zampettavano sia nei cortili di ogni famiglia contadina che sui terreni signorili; la loro presenza significava avere a disposizione carne in primo luogo, e poi uova, senz’altro in gran numero. È impossibile, naturalmente, esprimere in cifre l’incidenza dei polli e delle uova nel regime alimentare. Può aiutarci il fatto che fra i rifiuti di cucina gli scavi archeologici hanno rinvenuto grandi quantità di ossa di gallina, che fanno presumere ad un consumo piuttosto elevato. Senza trascurare la posizione di privilegio di cui i polli talora godevano, rispetto agli altri tipi di carne, nelle consuetudini alimentari monastiche. La carne squisita e sostanziosa del cappone, lo rendeva tra le pietanze predilette dell’epoca: era costume servirlo sulla tavola per celebrare un evento speciale. Nella novella CXXIII è proprio un evento felice che fa da cardine alla vicenda ambientata nel castello di Pietrasanta a Lucca. Il contadino Vitale, per festeggiare il figlio studente che torna da Bologna, fa preparare un pranzo (al quale è invitato anche il prete) a base di cappone arrosto. Restia all’iniziativa è la matrigna del giovane che non perde mai l’occasione di inveire contro il marito. La donna vede diminuire i soldi di famiglia giorno dopo giorno perché vengono spesi per far studiare il figliastro:

“[...] io mi credo che tu se' ingannato, e che costui, a cui tu mandi ciò che puoi fare e dire, sia un corpo morto, e consumiti per lui. E in questa maniera la donna s'avea sí recato in costume di dire questo corpo morto che come il marito mandava o denari o altro, cosí costei era alle mani, dicendo al marito:
- Manda, manda, consumati bene, per dar ciò che tu hai a questo tuo corpo morto.”

Quelle parole giungono agli orecchi del ragazzo durante il soggiorno a Bologna e, quando gli viene chiesto di dividere un cappone “per grammatica”, egli fraziona l’animale in modo da averne la parte centrale, quella più consistente, e distribuisce le parti più scarse del cappone agli altri membri della famiglia sulla base di giustificazioni serie solo in apparenza:

“Recasi il cappone innanzi, e piglia il coltello, e tagliandogli la cresta, la pone su uno tagliere e dàlla al prete, dicendo:
- Voi siete nostro padre spirituale e portate la cherica; e però vi do la cherica del cappone, cioè la cresta.
Poi tagliò il capo, e per simile forma lo diede al padre, dicendo:
- E voi siete il capo della famiglia, e però vi do il capo.
Poi tagliò le gambe co' piedi, e diedele alla matrigna, dicendo:
- A voi s'appartiene andar faccendo la masserizia della casa, e andare e giú e su, e questo non si può far senza le gambe; e però ve le do per vostra parte.
E poi tagliò li sommoli dell'alie, e puoseli su uno tagliere alle sue sirocchie, e disse:
- Costoro hanno tosto a uscire di casa, e volare fuori; e però conviene abbiano l'alie, e cosí le do loro. Io sono un corpo morto: essendo cosí, e cosí confesso, per mia parte mi torrò questo corpo morto -; e comincia a tagliare, e mangia gagliardamente.”

La spartizione della carne doveva essere eseguita con metodo: le porzioni più consistenti andavano sempre al capo famiglia. In questo contesto sembra quasi di assistere ad una riproposizione, in chiave ovviamente parodistica, del rituale del sezionamento e della spartizione della carne. La vicenda svela che anche il metodo di tagliare la vivanda poteva essere determinante, soprattutto se si voleva godere delle parti [...]


Nessun commento: