Molte novelle del Sacchetti hanno come protagonista il maiale, senza dubbio il cibo per eccellenza dell’epoca medievale. La carne di suino è la pietanza che appare più di tutte sulle tavole sia dei signori che dei ceti meno abbienti. Fin dall’età romana l’allevamento dei maiali ha rivestito un ruolo fondamentale per il fabbisogno alimentare dei popoli; la Valle Padana, famosa per la produzione di ghiande, consentiva l’allevamento su larga scala dei suini, destinati sia al consumo locale sia al rifornimento della capitale e degli eserciti. Per l’alto Medioevo il maiale rappresentò l’alimento base della dieta carnea e i documenti privati rivelano un numero di persone addette all’allevamento dei maiali di solito superiore a quello degli altri pastori. Nei secoli successivi, invece, l’alimentazione fu più varia, ma gli animali di piccola taglia, tra i quali il maiale, non mancarono mai nei possedimenti delle famiglie .
La novella LXX ci mostra un padre e un figlio, coadiuvati da un servo, che si occupano dell’uccisione di alcuni maiali. In questo caso, il capofamiglia opta per questa soluzione semplicemente per risparmiare denaro; la vicenda è ambientata nel periodo in cui della macellazione dei suini si occupano i beccai o i tavernieri. Ciò dimostra che anche nel basso Medioevo c’era chi continuava ad allevare e a uccidere i maiali per conto suo senza ricorrere a figure del mestiere.
La cosa non stupisce affatto dato che ancora oggi, soprattutto nel sud Italia, questo rito non è stato cancellato né dal mutare dei tempi né dal progresso che avanza inesorabile. Molte famiglie contadine continuano a crescere e ad uccidere il maiale, ed il giorno della “mattanza” è un giorno di festa.
Ma anche chi lo faceva per professione aveva bisogno di collaboratori; la novella CII, infatti, descrive un tavernaio alle prese con un problema non da poco: dopo aver ucciso e scottato un maiale, non riesce ad appenderlo alla caviglia. Alla fine riuscirà a sollevare la bestia solo con l’aiuto dei contadini che lavorano nelle terre confinanti.
Un altro particolare degno di nota lo si apprende nella novella CXLVI: un gentiluomo povero decide, con l’aiuto di un compagno, di rubare un maiale per poi ucciderlo insieme ad uno di sua proprietà. I due maiali sarebbero poi stati consegnati ad un taverniere con il quale egli aveva un debito da saldare. Il racconto ci fornisce alcuni elementi interessanti: c’è una sostanziale differenza di peso tra i due maiali, quello rubato pesa il doppio di quello dell’uomo: “Era forse libbre centocinquanta: l'imbolato era trecento.”. La netta oscillazione del peso degli animali era probabilmente dovuta alle qualità di vita delle bestie che ovviamente risentivano delle condizioni economiche dei loro padroni; infatti il maiale del contadino povero si presenta molto magro. Dal racconto non è dato sapere chi fosse il proprietario del suino “in carne”, ma probabilmente doveva essere di condizione benestante. La novella CCXIV, che ha una trama pressoché analoga, rafforza l’ipotesi: in quel caso il robusto maiale trafugato appartiene ad un notaio.
Ritornando alla novella precedente, il contadino per risparmiare i denari della gabella decide di nascondere lo scarno suino in quello più robusto:
“- Sa' tu quello ch'io ho pensato? che io voglio che noi spariamo bene quel porco grande, e mettervi dentro quel piccolo, e poi l'affascineremo con questo alloro, e non fia niuno che possa immaginare che sia altro che uno.”
Successivamente i gabellieri scopriranno la truffa e lo sventurato [...]
La novella LXX ci mostra un padre e un figlio, coadiuvati da un servo, che si occupano dell’uccisione di alcuni maiali. In questo caso, il capofamiglia opta per questa soluzione semplicemente per risparmiare denaro; la vicenda è ambientata nel periodo in cui della macellazione dei suini si occupano i beccai o i tavernieri. Ciò dimostra che anche nel basso Medioevo c’era chi continuava ad allevare e a uccidere i maiali per conto suo senza ricorrere a figure del mestiere.
La cosa non stupisce affatto dato che ancora oggi, soprattutto nel sud Italia, questo rito non è stato cancellato né dal mutare dei tempi né dal progresso che avanza inesorabile. Molte famiglie contadine continuano a crescere e ad uccidere il maiale, ed il giorno della “mattanza” è un giorno di festa.
Ma anche chi lo faceva per professione aveva bisogno di collaboratori; la novella CII, infatti, descrive un tavernaio alle prese con un problema non da poco: dopo aver ucciso e scottato un maiale, non riesce ad appenderlo alla caviglia. Alla fine riuscirà a sollevare la bestia solo con l’aiuto dei contadini che lavorano nelle terre confinanti.
Un altro particolare degno di nota lo si apprende nella novella CXLVI: un gentiluomo povero decide, con l’aiuto di un compagno, di rubare un maiale per poi ucciderlo insieme ad uno di sua proprietà. I due maiali sarebbero poi stati consegnati ad un taverniere con il quale egli aveva un debito da saldare. Il racconto ci fornisce alcuni elementi interessanti: c’è una sostanziale differenza di peso tra i due maiali, quello rubato pesa il doppio di quello dell’uomo: “Era forse libbre centocinquanta: l'imbolato era trecento.”. La netta oscillazione del peso degli animali era probabilmente dovuta alle qualità di vita delle bestie che ovviamente risentivano delle condizioni economiche dei loro padroni; infatti il maiale del contadino povero si presenta molto magro. Dal racconto non è dato sapere chi fosse il proprietario del suino “in carne”, ma probabilmente doveva essere di condizione benestante. La novella CCXIV, che ha una trama pressoché analoga, rafforza l’ipotesi: in quel caso il robusto maiale trafugato appartiene ad un notaio.
Ritornando alla novella precedente, il contadino per risparmiare i denari della gabella decide di nascondere lo scarno suino in quello più robusto:
“- Sa' tu quello ch'io ho pensato? che io voglio che noi spariamo bene quel porco grande, e mettervi dentro quel piccolo, e poi l'affascineremo con questo alloro, e non fia niuno che possa immaginare che sia altro che uno.”
Successivamente i gabellieri scopriranno la truffa e lo sventurato [...]
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