Messer Dolcibene, essendo nella città di Padova, e non volendo il Signore che si partisse, con una nuova e sottile astuzia al suo dispetto si parte.
Nella città di Padova con messer Francesco vecchio da Carrara si trovò messer Dolcibene, il quale a drieto in piú novelle è stato raccontato, a una sua festa; ed essendo stato piú dí, e avendo aúto quella utilità che gli uomeni di corte, che traggono a' signori, possono avere, e piú nulla sperando, pensò di voler mutare asgiere e di partirsi, chiedendo commiato al signore. Il signore, veggendo che costui si volea partire, perché non vedea da potere piú trarre a sé, non lo licenziò; ed elli pur ritornando a domandar licenza, però che non avendo il bullettino non potea uscire di Padova, il signore ordinò con quelli delle bullette gli facessino il bullettino, e a quelli delle porte avea ordinato non lo lasciassono andare, se elli medesimo, o suo famiglio, non dicesse loro. Messer Dolcibene, andando e' co' bullettini e con licenza, pervenuto alla porta per uscir fuori, niuna cosa gli valea. Ritornando in fine al signore e dicendogli: - Al nome del diavolo, non mi straziar piú, lasciamene andare -; dice il signore:
- Va', per me non ti tengo; e acciò che tu 'l creda bene, tu vedrai testeso la prova.
E chiamò messer Ugolino Scovrigni, e disse:
- Sali a cavallo, e va' con Dolcibene, e di' a' portinari lo lascino andare.
A messer Dolcibene parve esser licenziato da dovero, e muovesi col detto messer Ugolino; e come furono alla porta, dice messer Ugolino:
- Lasciate andare messer Dolcibene, e io ve lo dico per bocca del signore.
Dissono i portinari:
- Se il signore il dicesse qui in persona, noi non siamo per lasciarlo andare.
Messer Ugolino strigne le spalle, e tornasi con messer Dolcibene al signore, e dice quello ch'e' portinari hanno detto. E 'l signore mostra di adirarsi, e dice:
- Dunque m'hanno i miei servi per cosí dappoco? per lo corpo e per lo sangue, che io scavezzerò loro le braccia su la colla.
Messer Dolcibene, che s'avvedea, dice al signore:
- Deh, non facciamo tanti atti; tu fai fare tutto questo, e fa' lo per istraziarmi; ma quando io mel porrò in cuore, io me n'andrò a tuo dispetto.
Disse il signore:
- Se tu puo' far cotesto, o che vieni per licenzia e per bullette? vattene ogni ora segnato e benedetto.
Disse messer Dolcibene:
- Vuo' tu, s'io posso?
Disse il signore:
- Sí sí, va' pur via.
E messer Dolcibene si parte, e vassene a uno luogo s'uccideano li castroni e' porci; e toglie uno coltellaccio, e tutto quanto l'avviluppò nel sangue, e sale a cavallo, e portalo alla scoperta in alto, mostrando che con esso avesse fatto omicidio; e dà degli sproni, correndo verso la porta. La gente gridava: «Che è, che è?» E chi dicea: «Piglia»; e chi: «Pigliate»; e messer Dolcibene gridava:
- Oimè lasciatemi andare, ch'io ho morto il todesco Casalino.
Come la gente udiva questo, chi a man giunte gli priega drieto, e chi in un modo, e chi in un altro, dicendo:
- Dio ti dia grazia che tu scampi e che tu vada salvo.
Giugnendo alla porta, i portinari si fanno incontro per pigliarlo e con le spade e con lance, e averebbonlo fatto; ma come udirono lui dire avere morto il tedesco Casalino, le lance e le spade di piatto si menavono, e davano maggiori colpi che poteano su la groppa al cavallo, gridando: «Piglia, piglia»; ogni cosa feciono, perché fuggisse bene; e cosí, uscendo fuori della porta a sproni battuti, s'andò con Dio.
E acciò che questa novella sia meglio gustata, questo tedesco Casciolino fu il piú sgraziato padovano che mai fosse in Padova, e non era niuno, non che bene gli volesse, ma che non bramasse a lui venire ogni male. Era ricchissimo, e per questa disgrazia si partí di Padova con ciò ch'egli avea, e vennesene a Firenze, e comperò casa, e puosesi su la piazza di Santa Croce; e comperò il bel luogo da Rusciano, il quale è oggi di messer Antonio degli Alberti. E come in Padova non avea grazia in persona, in Firenze n'ebbe vie meno, e ivi si morí. Il signore di Padova, sentendo in che maniera messer Dolcibene se n'era andato, pensi ciascuno che piacer ne prese, non ch'elli, ma tutta Padova. E 'l tedesco Casalino era guardato da ciascuno con gran risa; ed elli n'aombrò di questa novella per sí fatta maniera che quasi ne parea fatto piú tristo che prima. Messer Dolcibene, uscito di Padova, se n'andò ricercando i signori di Lombardia, e con questa novella guadagnò di molte robe, e ritornossi a Firenze con esse. E ritrovandosi fra' rigattieri, poiché con esse ebbe fatto un pezzo la mostra, le recò a contanti; e poi se n'andò a un suo luogo a Leccio in Valdimarina, e con quelli danari fece fare di be' lavori.
Nella città di Padova con messer Francesco vecchio da Carrara si trovò messer Dolcibene, il quale a drieto in piú novelle è stato raccontato, a una sua festa; ed essendo stato piú dí, e avendo aúto quella utilità che gli uomeni di corte, che traggono a' signori, possono avere, e piú nulla sperando, pensò di voler mutare asgiere e di partirsi, chiedendo commiato al signore. Il signore, veggendo che costui si volea partire, perché non vedea da potere piú trarre a sé, non lo licenziò; ed elli pur ritornando a domandar licenza, però che non avendo il bullettino non potea uscire di Padova, il signore ordinò con quelli delle bullette gli facessino il bullettino, e a quelli delle porte avea ordinato non lo lasciassono andare, se elli medesimo, o suo famiglio, non dicesse loro. Messer Dolcibene, andando e' co' bullettini e con licenza, pervenuto alla porta per uscir fuori, niuna cosa gli valea. Ritornando in fine al signore e dicendogli: - Al nome del diavolo, non mi straziar piú, lasciamene andare -; dice il signore:
- Va', per me non ti tengo; e acciò che tu 'l creda bene, tu vedrai testeso la prova.
E chiamò messer Ugolino Scovrigni, e disse:
- Sali a cavallo, e va' con Dolcibene, e di' a' portinari lo lascino andare.
A messer Dolcibene parve esser licenziato da dovero, e muovesi col detto messer Ugolino; e come furono alla porta, dice messer Ugolino:
- Lasciate andare messer Dolcibene, e io ve lo dico per bocca del signore.
Dissono i portinari:
- Se il signore il dicesse qui in persona, noi non siamo per lasciarlo andare.
Messer Ugolino strigne le spalle, e tornasi con messer Dolcibene al signore, e dice quello ch'e' portinari hanno detto. E 'l signore mostra di adirarsi, e dice:
- Dunque m'hanno i miei servi per cosí dappoco? per lo corpo e per lo sangue, che io scavezzerò loro le braccia su la colla.
Messer Dolcibene, che s'avvedea, dice al signore:
- Deh, non facciamo tanti atti; tu fai fare tutto questo, e fa' lo per istraziarmi; ma quando io mel porrò in cuore, io me n'andrò a tuo dispetto.
Disse il signore:
- Se tu puo' far cotesto, o che vieni per licenzia e per bullette? vattene ogni ora segnato e benedetto.
Disse messer Dolcibene:
- Vuo' tu, s'io posso?
Disse il signore:
- Sí sí, va' pur via.
E messer Dolcibene si parte, e vassene a uno luogo s'uccideano li castroni e' porci; e toglie uno coltellaccio, e tutto quanto l'avviluppò nel sangue, e sale a cavallo, e portalo alla scoperta in alto, mostrando che con esso avesse fatto omicidio; e dà degli sproni, correndo verso la porta. La gente gridava: «Che è, che è?» E chi dicea: «Piglia»; e chi: «Pigliate»; e messer Dolcibene gridava:
- Oimè lasciatemi andare, ch'io ho morto il todesco Casalino.
Come la gente udiva questo, chi a man giunte gli priega drieto, e chi in un modo, e chi in un altro, dicendo:
- Dio ti dia grazia che tu scampi e che tu vada salvo.
Giugnendo alla porta, i portinari si fanno incontro per pigliarlo e con le spade e con lance, e averebbonlo fatto; ma come udirono lui dire avere morto il tedesco Casalino, le lance e le spade di piatto si menavono, e davano maggiori colpi che poteano su la groppa al cavallo, gridando: «Piglia, piglia»; ogni cosa feciono, perché fuggisse bene; e cosí, uscendo fuori della porta a sproni battuti, s'andò con Dio.
E acciò che questa novella sia meglio gustata, questo tedesco Casciolino fu il piú sgraziato padovano che mai fosse in Padova, e non era niuno, non che bene gli volesse, ma che non bramasse a lui venire ogni male. Era ricchissimo, e per questa disgrazia si partí di Padova con ciò ch'egli avea, e vennesene a Firenze, e comperò casa, e puosesi su la piazza di Santa Croce; e comperò il bel luogo da Rusciano, il quale è oggi di messer Antonio degli Alberti. E come in Padova non avea grazia in persona, in Firenze n'ebbe vie meno, e ivi si morí. Il signore di Padova, sentendo in che maniera messer Dolcibene se n'era andato, pensi ciascuno che piacer ne prese, non ch'elli, ma tutta Padova. E 'l tedesco Casalino era guardato da ciascuno con gran risa; ed elli n'aombrò di questa novella per sí fatta maniera che quasi ne parea fatto piú tristo che prima. Messer Dolcibene, uscito di Padova, se n'andò ricercando i signori di Lombardia, e con questa novella guadagnò di molte robe, e ritornossi a Firenze con esse. E ritrovandosi fra' rigattieri, poiché con esse ebbe fatto un pezzo la mostra, le recò a contanti; e poi se n'andò a un suo luogo a Leccio in Valdimarina, e con quelli danari fece fare di be' lavori.
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