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Il mio libro in vendita

domenica 16 agosto 2009

Novella CXXXV



Bertino da Castelfalfi, facendo una cortese lemosina a uno saccardo povero e infermo, essendo da' nimici preso, dal detto saccardo in avere e in persona è liberato.

Come nella precedente novella era assegnato al Perugino cento per uno nell'altro mondo, cosí nella seguente voglio dimostrare come un buon uomo, servendo un vile saccardo con uno dono d'una piccola cosa, fu meritato da lui e dell'avere e della persona; e non è mill'anni che questo fu, ma è sí piccolo tempo che io ho favellato al buon uomo a cui questa novella che io racconterò, avvenne; il quale fu Bertino da Castelfalfi, uomo di bonissima condizione, e asgiato contadino, e, secondo suo pari, ricco di bestiame. Aveva recato costui, nel tempo ch'e' Fiorentini aveano guerra col conte di Virtú, anno 1391, suoi casci freschi, fatti di pochi dí, a vendere al mercato a Santo Miniato, e stando su la piazza con questi casci, e uno saccardo infermo con uno pezzo di pane in mano domandò a questo Bertino un poco di quel cascio, per mangiarlo con quel pane. Bertino disse:
- To' ciò che tu vuogli -; ed egli peritandosi, e Bertino ne tolse uno, e disse: - Togli, mangia -; e avea questo Bertino molto grosso il dito grosso della mano ritta.
Lo saccardo, togliendo il cascio, si puose ivi a sedere; e pigliandone uno pezzo, lo mangiò con quello cotanto pane che avea. Quando l'ebbe mangiato, disse:
- Gnaffe, buon uomo, io non ho alcuno denaio da darti, e non ho piú pane.
Bertino avendo pietà di costui, avea due pani con seco, toglie questi due pani, e disse:
- Vie' qua con meco -; e toglie l'avanzo del cascio, e menollo alla taverna, e ivi gli mise li due pani innanzi, e disse: - Mangia gagliardamente.
Essendo costui ed elli alla taverna, mangiò quanto li piacque e del pane e del cascio di Bertino; e del vino, che Bertino fece venire, bevve quanto gli fu di piacere. Fatto che Bertino ebbe questa cortese lemosina, disse:
- Va', che sie benedetto -; e partissi.
Avvenne poi per caso che certa gente d'arme de' nimici, cavalcando verso Castelfalfi se ne menorono molto bestiame minuto del detto Bertino. E avendolo menato, feciono loro avviso che colui, di cui egli era, andrebbe per riscattarlo; e missono certo aguato. E cosí venne lor fatto; che andando Bertino co' suoi fiorini, da costoro fu preso e menato a Casole, su quel di Volterra: e là fu nelle gambe sconciamente inferriato. E cosí stando un giorno co' ferri in gamba al sole, lo saccardo, a cui elli avea dato il cascio, passando dove Bertino assai tapino si stava, cominciò a figurare il detto Bertino, e avendolo mirato un pezzo, dice:
- Buon uomo, e' mi ti par pure conoscere.
E Bertino, guardando lui, dicea:
- Gnaffe, io non conosco te, ch'io sappia.
E questo era assai possibile; però che 'l saccardo era guerito, e bene in arnese; e dice a Bertino:
- Per certo tu se' esso, per tal segnale, che tu hai il dito grosso.
Allora Bertino cominciò quasi a conoscerlo. E 'l saccardo disse:
- Raccordati del cascio che mi desti a Santo Miniato?
E quelli disse:
- Figliuolo mio, io ti conosco ora.
Dice il saccardo:
- Non voglia Dio che io non te ne renda guidardone; farai com'io ti dirò: io ti recherò domattina una lima sorda, con che tu segherai cotesti ferri; e menerò colui, che t'ha preso, altrove, e io tornerò per te, e accompagnerotti insino a casa tua.
Bertino disse:
- Figliuolo, io terrò sempre la vita per te.
Questo saccardo la mattina portò la lima a Bertino, e menò alla taverna chi 'l tenea preso; e quando fu bene avvinazzato, lo condusse a giucare; ed essendo avviluppato nel giuoco, il saccardo lo lasciò e tornò a Bertino, il quale s'era spastoiato, e condusselo a Castelfalfi, e mai non lo abbandonò. Dove il detto Bertino gli volle dare de' suoi fiorini, e nessuno non ne volle torre, e tornossene.
Quanta virtú ebbe questo saccardo, e quanta remunerazione usò in un piccolo benefizio ricevuto, è cosa maravigliosa a udire. Io per me credo, se fusse stato de' maggiori Romani, serebbe degno di memoria. E però non si può errare a servire, e sia l'uomo minimo quanto vuole; però che Isopo ci ammaestra nella sua favola, quando il leone ebbe bisogno del ratto, dicendo: Tu, qui summa potes, ne despice parva potenti .


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