tag:blogger.com,1999:blog-77473675321852993072024-03-13T22:38:33.622+01:00L'alimentazione nel Medioevo...un assaggio del mio libro sull'alimentazione medievale e altre curiosità...Unknownnoreply@blogger.comBlogger296125tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-87693017986160266802012-02-27T23:56:00.000+01:002012-03-07T12:52:39.221+01:00Il vino nel Medioevo, una bevanda per tutti!<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.taccuinistorici.it/fotonews/2758.jpg" imageanchor="1" style="cssfloat: left; margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="199" lda="true" src="http://www.taccuinistorici.it/fotonews/2758.jpg" width="200" /></a></div>
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<b>Una bevanda dai mille usi.</b> Il vino, durante l'epoca medievale, fu la bevanda polifunzionale per eccellenza, veniva utilizzato non solo per scopi alimentari ma anche medicinali, politici e liturgici. Ovviamente non esistevano sistemi di conservazione moderni e la bevanda veniva consumata fresca. Addirittura erano ritenuti migliori i vini meno invecchiati! E' facile supporre che il sapore non era proprio squisito... Spesso venivano adottati alcuni accorgimenti per migliorarne il gusto: se sapeva di legno o era inacidito si mischiava con l'allume oppure se era troppo debole si amalgamava con il mosto cotto. La pratica più utilizzata per migliorarne il sapore era quella di aromatizzare il vino con le spezie o frutta: miele, anice, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano, frutta e rosmarino erano gli ingredienti più gettonati.</div>
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<b>Vino o sciroppo?</b> Il rosmarino aveva una doppia valenza, infatti, oltre ad insaporire la bevanda, si riteneva che avesse proprietà medicamentose: giovava all'appetito, sollevava lo spirito, faceva crescere i capelli, aiutava a mantenersi giovani e ad avere i denti puliti. </div>
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<b>Al posto del caffè e della cioccolata.</b> Come mai il vino era ampiamente usato nel Medioevo? La risposta è semplice, prima di tutto veniva utilizzato in tutte quelle situazioni in cui oggi adotteremmo altre bevande corroboranti e socializzanti quali il caffè, il tè, la cioccolata che a quel tempo non si bevevano per il semplice fatto che in Europa non erano ancora conosciute. I documenti confermano che era normale bere anche due litri di vino al giorno pro capite ma come ho accennato prima, la bevanda era molto diversa da oggi, decisamente più leggera e spesso mischiata con l'acqua che, non esente da microbi, doveva pur essere disinfettata... </div>
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<b>Una bevanda per tutte le classi</b>. Il vino annacquato (terza pigiatura), nel peggiore dei casi l'aceto, veniva anche elargito ai poveri mendicanti insieme al pane. Questo particolare ci fa capire come proprio il vino non solo fosse alla base della dieta alimentare del tempo, ma che venisse consumato da tutte le classi sociali.</div>
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<b>Apprezzato dal clero.</b> Il vino era caro anche agli ecclesiastici per i tradizionali usi liturgici. Basti pensare a Bernardo, l'ex monaco benedettino che fondò nel 1112 l'ordine dei Cistercensi, quando fu eletto, favorì la produzione di vini di alta qualità specialmente in Borgogna.</div>
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<b>Vino e politica.</b> Questa bevanda era utilizzata anche per scopi politici, dal momento che nei rapporti tra città e Stati sovente il "tributo del vino" compariva "in segno di pace, d'amicizia, di sudditanza o per suggellare un'alleanza. </div>
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<b>Brindiamo al Matrimonio!</b> Vediamo, a tal proposito, un esempio tratto dalla <i>Historia Langobardorum</i> di Paolo Diacono (Libro 3, 35). Siamo nel 590 d.C. e dopo l’improvvisa morte di Autari, la regina Teodolinda sceglie Agilulfo, il duca di Torino, come suo consorte. Il matrimonio viene sancito bevendo del vino da una coppa.</div>
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<i>Illa vero consilium cum prudentibus habens, Agilulfum ducem Taurinatium et sibi virum et Langobardorum genti regem elegit. Erat enim isdem vir strenuus et bellicosus et tam forma quam animo ad regni gubernacula coaptatus. Cui statim regina ad se venire mandavit, ipsaque ei obviam ad Laumellum oppidum properavit. Qui cum ad eam venisset, ipsa sibi post aliqua verba vinum propinari fecit. Quae cum prior bibisset, residuum Agilulfo ad bibendum tribuit. Is cum reginae, accepto poculo, manum honorabiliter osculatus esset, regina cum rubore subridens, non deberi sibi manum osculari, ait, quem osculum ad os, iungere oporteret. Moxque eum ad suum basium erigens, ei de suis nuptiis deque regni dignitate aperuit. </i></div>
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<i>Subito la regina lo convocò, anzi gli andò incontro lei stessa verso la rocca di Lomello. E una volta che Agilulfo fu arrivato, Teodolinda, dopo qualche convenevole, fece portare del vino. Bevve per prima, offrendo poi ad Agilulfo ciò che restava nella coppa. Accettata la coppa dalla regina, Agilulfo rispettosamente le baciò la mano; ma Teodolinda, sorridendo e imporporandosi in volto, gli disse che non doveva baciarle la mano bensì la bocca. E subito, facendosi baciare, lo informò sia delle nozze sia del titolo regio.</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-8481684380804976942012-02-15T20:49:00.001+01:002012-02-16T11:12:20.188+01:00Minestra di farro e ceci<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.cucinamedievale.it/wp-content/uploads/2009/10/minestra_ceci.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="209" src="http://www.cucinamedievale.it/wp-content/uploads/2009/10/minestra_ceci.jpg" width="320" /></a></div>
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Ecco un'ottima e corroborante zuppa dai sapori e odori prettamente medievali, la minestra di farro e ceci. Vediamo come si prepara:</div>
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<b>Ingredienti x 4 persone</b><br />
400 gr. di ceci rugosi secchi<br />
200 gr. di farro perlato<br />
1,5 lt brodo di verdura<br />
1 gambo di sedano<br />
1 cipolla<br />
1 spicchio d’aglio<br />
1 rametto di rosmarino<br />
qualche foglia di salvia<br />
sale<br />
pepe nero in grani<br />
cannella o noce moscata (a piacimento)<br />
30 gr. di lardo di maiale<br />
olio extravergine di oliva<br />
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<b>Preparazione</b>: lasciare in ammollo i ceci per 12 ore e lessarli in una pentola a pressione per 50 minuti. Nel frattempo preparare un battuto con il sedano, la cipolla, l’aglio, il rosmarino e la salvia e farli soffriggere nel lardo in una casseruola capiente. Aggiungere i ceci, farli insaporire per 15 minuti (a fuoco basso) dopodiché passarne la metà nel mixer e frullarli. Rimettere nella pentola a pressione la crema ottenuta nella casseruola insieme ai ceci interi, al brodo e al farro perlato. Continuare la cottura ad enbollizione lenta per altri 20 minuti. Quando la zuppa sarà pronta, farla riposare per 7-8 minuti poi servirla in tavola con una spolverata di pepe macinato fresco, noce moscata o cannella e un filo di olio di extravergine d’oliva. </div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-86211530783896872132012-02-03T22:52:00.001+01:002012-02-12T17:59:29.460+01:00Il pesce nel Medioevo<div style="text-align: justify;">
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<a href="http://www.trool.it/files/images/pesce.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="http://www.trool.it/files/images/pesce.jpg" width="320" /></a></div>
<b>Il Papa Goloso di anguille.</b> Martino IV, al secolo Simon de Brion, dopo aver fatto una scorpacciata di anguille (del lago di Bolsena) annegate nella vernaccia e poi preparate arrosto (e speziate per benino) era solito esclamare "O sanctus Deus, quanta mala patimur pro Eclesia Dei". Il religioso fu così ghiotto di cotale pietanza che Dante non si dimenticò di riservagli un ruolo nella Divina Commedia (nel Purgatorio). Ecco il verso che si riferisce proprio a Papa Martino IV: "Purgo per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia".<br />
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Perchè l'ingordigia di Martino IV viene ricordata a distanza di anni? Nel Medioevo l’anguilla rappresentava per la sua forma di serpente una leccornia proibita, un simbolo del peccato originale. Lo smodato consumo di cotale cibo da parte di un Papa non poteva passare inosservato agli storici e così divenne pretesto di scandalo. Questo pesce, inoltre, era molto legato alla satira anticlericale del tempo, che associava "le grasse anguille alle facce rubiconde dei monaci e dei canonici". Martino IV morì a Perugia nel 1285 e per alcuni storici la cagione fu proprio una indigestione di anguille pescate nel lago di Bolsena. Anche il <i>Regimen sanitatis</i> conferma la pericolosità morale delle anguille: "a Venere spingono i pesci e tutti i cibi salati"; segue un elenco di pesci, tra cui è compresa l’anguilla, di cui si aggiungono altre caratteristiche, quali quella di nuocere alla voce, di essere più dannosa se ingerita con il formaggio, e meno se accompagnata dal vino.</div>
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<b>Un cibo abbondante.</b> Nel Medioevo il consumo del pesce era decisamente diffuso e alla portata di tutti. Nel mare, nei laghi, nei fiumi, perfino nelle paludi era possibile pescarlo. La cultura del tempo era profondamente legata alla religione Cristiana che al pesce riservava un ruolo biblico e vangelico; 2/3 dell'anno, poi, erano riservati alle feste religiose. E' facile intuire che nei monasteri se ne consumasse in ingenti quantità dato che i monaci non potevano mangiare carne. Ma considerare l’utilizzo di questo alimento come una scelta penitenziale, stante la prelibatezza di certi suoi esemplari, quale, appunto, l’anguilla ci riesce difficile. Non a caso, l’abate Guido di Pomposa (sec. XI) viene ricordato per aver precluso ai monaci il consumo di pesce per tre volte la settimana, a conferma di quanto questo alimento fosse gradito e causa di peccati di gola, colpa fortemente condannata nel Medioevo.</div>
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<b>Il mercato del pesce.</b> Nei torrenti vicini ai monasteri di montagna si pescavano trote, anguille, lasche, barbi, e gamberi. Il consumo di pesce era talmente alto che nei centri delle città ne veniva allestito il commercio. Era soprattutto durante il periodo di Quaresima che i pescivendoli facevano grandi affari. Le leggi che regolavano la vendita dell'alimento erano molto severe: il pesce era soggetto a controlli minuziosi e doveva essere fresco per poter essere offerto ai clienti</div>
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<b>Un alimento difficile da trasportare.</b> Sebbene il pesce fosse uno degli alimenti più richiesti e consumati nel Medioevo, soprattutto nei periodi di magro, le difficoltà di trasporto di questo animale ne limitavano l'impiego di certe varietà: l’anguilla, tuttavia, per la sua capacità di sopravvivenza all’interno di ceste piene d’erba per molti giorni, riusciva ad essere trasportata anche nelle zone più lontane dalle coste e dai laghi; pure per questa ragione, dunque, doveva essere tra i pesci più consumati sulle tavole medievali, insieme alla lampreda e alla tinca.</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-42835124578392441342011-07-18T19:19:00.007+02:002012-08-16T13:21:54.732+02:00L'asparago, il viagra del Medioevo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.provincia.mb.it/export/sites/default/agricoltura/img/Agricoltura/Fiere/asparagi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="302" src="http://www.provincia.mb.it/export/sites/default/agricoltura/img/Agricoltura/Fiere/asparagi.jpg" width="426" /></a></div>
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L’asparago è una della verdure di cui si possiede documentazione storica da più lungo tempo. Sembra infatti che sia stato presente già nell’antico Egitto. Senza dubbio i greci e i romani non solo lo conoscevano ma lo usavano anche in cucina. Nel duecento a.C. Catone il censore spiegava, nel De re Rustica, le tecniche di coltivazione con modalità, a dire il vero, non troppo differenti da quelle odierne mentre Marziale sosteneva che nelle paludi del ravennate si potevano trovare gli asparagi più succulenti e teneri. Molti di essi vennero in seguito esportati nell'Urbe per allettare il palato dei ceti più ricchi.</div>
<a name='more'></a><div style="text-align: justify;">
L’asparago fu molto utilizzato tra i medici dell’antichità, i Greci li consideravano altamente afrodisiaci mentre Celso e Galeno lo prescrivevano come diuretico e lassativo, per liberare il fegato. Addirittura si soleva consigliare alle donne di portare le radici in un sacchetto, celato tra le vesti, come contraccettivo. Nel Medioevo l’uso medico dell’asparago rimase immutato anche se si trova quasi esclusivamente nei monasteri. In seguito l’ortaggio assunse una connotazione sessuale via via sempre più marcata: la Scuola Medica Salernitana sentenziò: “augmentat sparagus sperma” (l’asparago fa aumentare lo sperma). La fama afrodisiaca degli asparagi deriverebbe sia dalla forma, lunga e turgida di chiaro riferimento fallico, sia dalla velocità di crescita dei turioni (punte) che in 1-2 giorni raggiungono fino a 25 cm di lunghezza. Se contro la frigidità femminile si raccomandavano punte di asparagi avviluppate nei petali di rosa (da ingollare come pillole), per curare l’impotenza e favorire la fertilità degli uomini si suggerivano gli asparagi più grandi. Questa credenza non si è ancora affievolita a Bassano del Grappa, dove gli asparagi dal fusto molto grosso sono coltivati e consumati come alimento propiziatorio durante il banchetto nuziale. Anche personaggi famosi non si sono sottratti a questa credenza tramandata da secoli, sembra che Napoleone III li reputasse talmente necessari quando organizzava delle cene intime con il gentil sesso, da rinviare il convito se il cuoco non li avesse inclusi nel menù.</div>
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Per rimanere nel nostro paese, tra Monza e l'Adda sopravvive l'antica cultura dell'asparago di Mezzago, asparago bianco verde con la punta rosa coltivato ancora secondo i dettami descritti da Plinio il Vecchio oltre 2000 anni fa. Come ogni rarità, matura in una stagione breve e in un territorio molto ristretto, incurante dei miracoli che l'agricoltura moderna potrebbe compiere in serra: disponibile solamente per un mese all’anno (da fine aprile) e gustabile solo nella cittadina brianzola (a circa 30 km da Milano), che grazie ai suoi terreni ferrosi ne assicura il tipico gusto leggermente amarognolo . Per maggiori info <a href="http://www.prolocomezzago.it/">http://www.prolocomezzago.it/</a></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-3677130909526084372010-11-07T12:47:00.002+01:002012-02-13T11:16:22.273+01:00Con la fiera dei morti a Perugia, si ritorna all'epoca comunale<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://umbria-verde.net/wp-content/uploads/2010/09/fiera_dei_morti.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://umbria-verde.net/wp-content/uploads/2010/09/fiera_dei_morti.jpg" width="226" /></a></div><div style="text-align: justify;">La Fiera dei Morti si tiene nella prima settimana di Novembre fin dal Medioevo, inizialmente si svolgeva in centro, attulamente si tiene nel Piazzale Umbria Jazz, zona Pian di Massiano. Dal 1 al 6 novembre 2010 si svolgerà a Pian di Massiano la tradizionale Fiera dei Morti.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L’istituzione della “Fiera dei morti” di Perugia coincide con l’età comunale, in epoca medievale. Si hanno testimonianze scritte della Fiera sin dal 1260 e da queste testimonianze risulta che era già definita allora come “consuetudinaria”. Il suo nome era “Fiera di Ognissanti”, così denominata poiché la Fiera era collocata in calendario nel periodo di tale ricorrenza religiosa.<br />
<a name='more'></a></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La Fiera di Perugia si inseriva in un ricco calendario di attività fieristiche e mercantili presenti allora in Umbria in età medievale e rinascimentale. Era notevole il rilievo della Fiera a livello regionale, essendo Perugia collocata nella via che da Firenze portava a Foligno e Ancona e tenuto conto della grande importanza commerciale della vicina via Flaminia.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Le fiere dell’epoca possedevano la funzione prevalente di scambio dei prodotti agricoli e del bestiame. Non a caso avvenivano nel periodo estivo e autunnale, sia per l’ampia disponibilità dei prodotti agricoli raccolti durante l’anno che per consentire alla popolazione locale il “rifornimento” prima delle difficoltà invernali.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La fiera perugina di Ognissanti, sin dal sec. XIII, era frequentata da fiorentini, senesi, cortonesi, fabrianesi: in particolare, molto fertile era il rapporto con la Toscana lungo la direttrice Perugia-Firenze, di cui si ha notizia per l’invio di specifici inviti formalmente inviati dal comune di Perugia agli altri comuni toscani.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Nel periodo della Fiera di Ognissanti di Perugia si tenevano dei giochi di antica tradizione come la caccia al toro, la corsa dell’anello e la corsa del palio o della quintana.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Solo a partire dal ‘600 la Fiera di Ognissanti verrà denominata “dei defunti”, mentre nell’800 prenderà il nome attuale di “Fiera dei morti”. Il significato di questa scelta sembra voler esprimere il desiderio di rendere compatibile il ricordo e il rituale ricongiungimento con gli antenati con l’esigenza di attenuare il sentimento di tristezza comunque presente nella memoria dell’assenza. Il rituale collettivo della festa prevede addirittura l’usanza di mangiare dolci denominati “stinchetti”, “ossa dei morti”, “fave dei morti”, quasi alla ricerca di una “comunione” laica e festosa con i defunti.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">tratto da <a href="http://umbria-verde.net/eventi-e-manifestazioni/fiera-dei-morti-a-perugia/">Umbria, il portale turistico dell'umbria.</a><br />
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Per chi volesse approfondire il tema della morte nel Medioevo invito alla lettura dell'articolo <a href="http://www.pretesti.com/Testi_Pre/Ottobre02.html">La morte nel Medioevo di Linda Cavadini</a></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-1379712634061057502010-09-25T15:29:00.006+02:002012-02-13T11:17:48.734+01:00La Sagra della Castagna e del Fungo Porcino a Caserta<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://www.eventiintoscana.it/wp-content/uploads/2010/06/fungo_porcino1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="http://www.eventiintoscana.it/wp-content/uploads/2010/06/fungo_porcino1.jpg" width="320" /></a></div>L'Associazione "Montecaruso" presenta la "Sagra della Castagna e del Fungo Porcino" XII^ Ed., il 2 e 3 ottobre 2010 a Sipicciano di Galluccio (CE). L'evento si svolge nei vicoli dell'incantevole borgo medievale di Sipicciano di Galluccio, con stand dei principali prodotti tipici dell' Alto Casertano dove saranno distribuite caldarroste gratis. Inoltre, un seminario micologico e uno naturalistico con relativa mostra.</div><div style="text-align: justify;">L'evento è diretto alla valorizzazione e alla salvaguardia dei prodotti tipici riconosciuti e allo sviluppo del turismo enogastronomico della Regione Campania.<br />
<a name='more'></a></div><div style="text-align: justify;">Il Fungo Porcino del "Vulcano di Roccamonfina" è stato inserito, su richiesta dell' Associazione Montecaruso, nell' Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Ministero delle Politiche Agricole con Decreto del 10 luglio 2006, pubblicato nel supplemento della Gazzetta Ufficiale n.167 del 20 luglio 2006. In allegato il Programma completo. WEB: <a href="http://www.associazionemontecaruso.it/">www.associazionemontecaruso.it</a> . Facebook il Gruppo: <a href="http://www.facebook.com/?ref=home#%21/group.php?gid=107894849695&ref=search">Il Fungo Porcino del "Vulcano di Roccamonfina"</a></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Tratto da <a href="http://www.casertanews.it/public/articoli/201009/art_20100924062626.htm">Casertanews </a></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><i>"Nel Medio Evo i funghi vennero sempre visti con sospetto anche se bisogna dire che presso la Corte di Federico II a Foggìa sovente erano presenti nei suoi banchetti. Anzi le fonti ci informano che Federico aveva idee precise sulla conservazione dei funghi che "dovevano essere sbiancati facendoli bollire in acqua quindi salati" per essere riposti in piccole botti. D'altra parte, grazie all'opera di ricerca e di diffusione del sapere attuata dai conventi, proprio in questo periodo i funghi entrano anche nella cucina popolare. </i></div></div><div style="text-align: justify;"><i>Il fungo fu quindi apprezzato e studiato anche nel Medioevo e fu considerato talmente prelibato ed afrodisiaco da essere messo all'indice dal Sant'Uffizio perché distoglieva i Pellegrini dall'idea della penitenza che doveva essere collegata al Pellegrinaggio del Giubileo sulla <a href="http://www.racine.ra.it/lcalighieri/Giubileo/francigena.html">Via dei Romei</a>".</i></div><br />
<div style="text-align: justify;"><i>"I funghi rivestirono un ruolo importante anche nella stregoneria medievale; se pensiamo alle pratiche degli unguenti, potevano ricondursi a questa magia naturalistica dovuta all’uso di sostanze stupefacenti di origine vegetale, come la cicuta, la belladonna, il salice, l’erba astrologa, il baccaro, la brionia, il cerfoglio, lo stramonio e, come dicevo, alcuni tipi di funghi, per raggiungere quello stato di trance o di sogno, durante il quale la strega compieva i suoi voli. La Chiesa, come il potere civile e secolare delle città, non fece nulla per interpretare la cultura folklorica che venne, invece, fagocitata e cancellata in una generalizzazione demoniaca, che, con l’affermarsi della caccia alle streghe, trasformò ogni manifestazione e rituale non cristiana in un’adorazione del demonio".</i></div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-82197597594014708862010-09-18T11:58:00.005+02:002012-02-13T11:18:05.852+01:00Alla riscoperta dei frutti dimenticati nella Valle del Senio<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://fogliosalute.files.wordpress.com/2010/01/castagna.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://fogliosalute.files.wordpress.com/2010/01/castagna.jpg" width="320" /></a></div>Ad ottobre due importanti appuntamenti nella Valle del Senio (appennino romagnolo): dal 9 al 10 ottobre la <b>Festa del Marrone</b> giunta alla quarta edizione e dal 16 al 17 ottobre la <b>Festa dei Frutti Dimenticati</b>, questa seconda arrivata alla sua 20esima edizione.</div><div style="text-align: justify;">A fare da cornice agli eventi il paese di Casola Valsenio, che si fregia del titolo di Paese delle Erbe e dei Frutti Dimenticati. Antiche tradizioni contadine locali di coltivazione delle piante si esprimono anche nella salvaguardia di alberi da frutto di varietà ormai abbandonate o uscite di produzione. Con l'arrivo dell'autunno due importanti eventi alla riscoperta di quei frutti e di quelle piante che vantano tradizioni lontane, spontanee oppure coltivate sia dai tempi del Medioevo e che sono stati salvati dall'estinzione e recuperati con la soddisfazione d chi li coltiva e di chi li conosce per la prima volta.<br />
<a name='more'></a></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Frutti profumati dai colori caldi tipici dell'autunno:</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">giuggiole, pere spadone, corniole, nespole, mele cotogne, corbezzoli, azzeruole, sorbe, pere volpine, uva spina, senza dimenticare noci, nocciole, melagrane e i marroni.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L'interesse per questi frutti rappresenta anche una rinnovata attenzione verso il recupero di antichi metodi di conservazione, lavorazione e consumo alimentare.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Durante le due feste infatti tra le varie iniziative pensate dagli organizzatori si svolgerà anche un corso di marmellate ed uno di liquori, mentre i ristoranti della zona propongono per tutto l'autunno la Cucina ai frutti dimenticati.</div><div style="text-align: justify;">Saranno proposti piatti che utilizzano i prodotti tradizionali del territorio sia secondo la consuetudine sia in modo moderno, proponendo una cucina gradevole, naturale e dal forte potere evocativo.</div><div style="text-align: justify;">Tra le ricette:</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">- la salsa di rovo e di gelso</div><div style="text-align: justify;">- le composte di corniole e di cotogne</div><div style="text-align: justify;">- la torta di mele selvatiche</div><div style="text-align: justify;">- dessert con pere volpine, con castagne,alkermes, il vino e il formaggio. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Un piatto tipico della zona poi il migliacco ricco di ingredienti quali mele cotogne, pere volpine, mele gialle, cioccolato, pane, raffermo grattugiato, canditi, riso e, secondo l'antica ricetta, sangue di maiale in aggiunta.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>La Festa del Marrone</b>, invece, propone bancarelle allestite dai produttori, conferenze tematiche sulla certificazione I.G.P., animazioni a tema agreste e assaggi delle eccellenze gastronomiche casolane preparate utilizzando questo prodotto: cotto nell'acqua con l'alloro (balòc), oppure arrostito sulla fiamma (brusé) o cotto nel forno della stufa a legna (spasmé) dopo averli "castrati", cioè praticato un piccolo taglio. </div><div style="text-align: justify;">Con le castagne secche si prepara una minestra, mentre la farina di castagne è la base per la polenta da mangiare con formaggio fresco e per il dolce castagnaccio. Tra i dolci si ricordano anche i ravioli, detti topini, preparati con la polpa di marrone arrostiti.</div><div style="text-align: justify;">Il marrone di Casola Valsenio è particolarmente apprezzato per il consumo fresco e per la preparazione dei marron-glace. (tratto da <a href="http://abagnomaria.blogsfere.it/">abagnomaria.blogsfere.it</a>)</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Per informazioni :</div><div style="text-align: justify;">Pro Loco Casola Valsenio tel. 0546 73033 www.terredifaenza.it</div><div style="text-align: justify;"><br />
<i>Che dire, un evento da non perdere per coloro che amano le castagne e per chi vuole riscoprire le tradizioni medievali: le castagne e gli altri "frutti dimenticati" hanno ricoperto un ruolo importante per l'approvigionamento alimentare delle popolazioni medievali (e degli animali domestici) soprattutto nelle zone di montagna. Basti pensare che in alcune zone d'italia alcuni castagni vennero piantati di proposito proprio per sfruttarne la versatilità del frutto che poteva essere consumato bollito o utilizzato per fare polente e dolci. Questo spiega anche perchè nel Medioevo le castagne venivano chiamate pane d'albero...</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-60645166850409383362010-08-20T23:16:00.006+02:002012-02-13T11:17:20.636+01:00Il Palio di Valfabbrica dal 27 agosto al 5 settembre<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TG7wlOgXQRI/AAAAAAAABtI/LiLDoEVnMMU/s1600/valfabbrica.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TG7wlOgXQRI/AAAAAAAABtI/LiLDoEVnMMU/s320/valfabbrica.jpg" /></a></div><br />
<div style="text-align: justify;">L'Associazione Festa d'Autunno Pro-Valfabbrica con sede a Valfabbrica (PG) ha iniziato la propria attività nel 1974 per cui, nel corso del corrente anno, ricorre il trentennale della sua fondazione.<br />
<br />
L'associazione si propone di organizzare, con la fattiva collaborazione della popolazione locale ripartita in tre Rioni (Badia, Osteria e Pedicino) la "Festa d'Autunno", manifestazione cittadina articolata nell'arco di dieci giorni durante i quali vengono effettuate rievocazioni storiche medioevali<br />
<br />
dei secc. XI-XIII sia diurne che notturne oltre a giochi popolari, mostre, convegni, studi conferenze, riunioni conviviali e quant'altro ad esse connesso.<br />
<br />
Nella prima domenica di settembre la "Festa d'Autunno" giunge al suo culmine con le rappresentazioni dei tre rioni alle quali segue l'assegnazione al campo dei giochi del "Palio" al termine di una giostra medioevale cavalleresca che comporta il superamento di gare di qualificazione agli "anelli" ed al "saracino" fino all'emozionante e caratteristico scontro finale tra i due cavalieri, lanciati frontalmente al galoppo, lancia contro lancia; cavalieri che in precedenza hanno superato con il punteggio migliore le qualificazioni. Il tutto secondo apposito regolamento di giostra.<br />
<br />
Come ogni anno, a Valfabbrica (PG) avrà luogo la <b>Festa d'Autunno</b>, una manifestazione di antiche radici legata alla festa del crocifisso.<br />
<br />
fonte: <a href="http://www.folclore.eu/It/Eventi/Italia/Umbria/Perugia/Valfabbrica/Palio-di-Valfabbrica.html">folclore.eu</a><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">Le date da ricordare:</div></div><div style="text-align: justify;"><br />
Il <b>Palio di Valfabbrica</b> inizierà il 27 agosto per terminare il 5 settembre. Di seguito il programma:<br />
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</div><ul style="text-align: justify;"><li>28 agosto, cena medioevale in costume;</li>
<li>31 agosto, ore 20:30 rievocazione storica del Rione Badia;</li>
<li>1 settembre, ore 20:30 rievocazione storica del Rione Osteria;</li>
<li>2 settembre, ore 20:30 rievocazione storica del Rione Pedicino;</li>
<li>5 settembre Corteo in piazza dalle ore 15:00, segue Giostra Cavalleresca per l'assegnazione del palio 2010. </li>
</ul><div style="text-align: justify;">Maggiori informazioni <a href="http://www.paliodivalfabbrica.com/"><b>qui</b></a>. Iscrivetevi al gruppo del <a href="http://www.facebook.com/pages/Palio-di-Valfabbrica-Festa-dAutunno/338707584395">Palio di Valfabbrica su Facebook </a>per seguire gli aggiornamenti.</div><br />
Un video della manifestazione:<br />
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<div style="text-align: center;"><object height="344" width="425"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/ly5RRpkmNpM?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/ly5RRpkmNpM?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="425" height="344"></embed></object></div><br />
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<iframe allowtransparency="true" frameborder="0" scrolling="no" src="http://www.facebook.com/plugins/like.php?href=http%3A%2F%2Falimentazionemedievale.blogspot.com%2F2010%2F08%2Fil-palio-di-valfabbrica-dal-27-agosto.html&layout=standard&show_faces=true&width=450&action=like&colorscheme=light&height=80" style="border: medium none; height: 80px; overflow: hidden; width: 450px;"></iframe>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16665841005963533613noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-71622251389324856452010-08-06T14:08:00.005+02:002012-02-13T11:18:18.267+01:00Rievocazione medievale a Bolsena il 7 e l'8 Agosto<a href="http://1.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/TFv8OCeDTOI/AAAAAAAAB34/9L_WZUSGc3U/s1600/bolsena.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5502268687874477282" src="http://1.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/TFv8OCeDTOI/AAAAAAAAB34/9L_WZUSGc3U/s200/bolsena.jpg" style="display: block; height: 136px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 200px;" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">Appuntamento da non perdere a Bolsena il 7 e l’8 agosto nell’incantevole cornice del centro storico medievale, dominato dalla maestosa Rocca Monaldeschi.<br />
Dopo il grande successo della Festa Medievale degli anni precedenti, quest’anno si replica con un’edizione tuttavia molto più ricca e piena di appuntamenti. L’occasione di questa importante manifestazione è data dalla volontà di rievocare l’assedio a cui, nel 1328 fu sottoposta la cittadina di Bolsena da parte dell’esercito di Ludovico IV di Baviera , che non riuscì tuttavia a conquistare la città.<br />
<a name='more'></a><br />
La manifestazione avrà inizio sabato 7 agosto alle ore 18.30, con una importante conferenza presso l’Auditorium Comunale del Comune di Bolsena dal titolo “Bolsena 1328: l’assedio del Bavaro a Bolsena”, curata dal prof. Pietro Tamburini, il Prof. Antonio Quattranni e la Dott.ssa Monica Ceccariglia.<br />
La giornata piu’ ricca di appuntamenti sarà pero’ quella di domenica 8 agosto, quando il centro storico di Bolsena, già incantevole nella sua struttura e nei suoi scorci, sarà animato da una serie di eventi rievocativi e storici, che riporteranno le strade e i luoghi del centro agli antichi sapori e suoni del Medioevo.<br />
<br />
Si inizierà alle ore 11.00 presso la Piazza Monaldeschi con l’apertura del Mercatino Medievale da parte dell’Ass. di rievocazione storica “l’Ordine del Sigillo”. Il gruppo medievale “Le Gaite del Drago” animeranno invece le strade centro storico a partire dalle ore 17.00, seguiti alle ore 18.30 dall’evento forse più atteso della manifestazione, la I’ edizione del Corteo Storico “I difensori della Rocca bolsenese”. Piu’ di 40 persone circa parteciperanno a questa rievocazione storica, facendo rivivere, attraverso gli splendidi abiti sapientemente confezionati da un’importante laboratorio di sartoria di Ferrara ma anche da alcune abili sarte di Bolsena, i grandi personaggi dell’epoca, dal Papa, all’Antipapa, l’Imperatore e l’Imperatrice, accompagnati da nobili, cortigiani e soldati.<br />
<br />
Il corteo percorrerà le strade del centro storico di Bolsena, regalando agli spettatori e ai molti turisti presenti al momento nella cittadina lacustre, uno spettacolo da ricordare.<br />
Alle ore 21.00 la piazza Monaldeschi sarà nuovamente animata dal balletto “S.Giorgio e il Drago”, della scuola di danza “Punte e Mezzepunte”, mentre alle ore 21.30 per le vie del centro storico si terrà il concerto itinerante di musica medievale del gruppo “DAN.CA.MUS”. La manifestazione si concluderà poi con lo spettacolo di giocoleria medievale e del fuoco del gruppo “Giocolieri e Focolieri di Soriano” che si esibiranno presso la Piazza Monaldeschi alle ore 22.30.<br />
<br />
Tra uno spettacolo e l’altro inoltre i turisti e tutti coloro che vorranno passare una giornata diversa dal solito, potranno fermarsi presso la maggior parte dei Ristoranti e Trattorie di Bolsena aderenti all’iniziativa, a degustare i Menu’ tipici e a tema preparati appositamente per l’occasione.<br />
Questa rievocazione storica che si terrà a Bolsena il 7 e l’8 agosto,è un importante segno da parte dell’Amministrazione Comunale, teso alla valorizzazione delle tradizioni e degli antichi sapori che caratterizzano la splendida Bolsena.</div><br />
Fonte: <a href="http://www.unonotizie.it/11111-bolsena-festa-medievale-e-corteo-storico-appuntamento-da-non-perdere-a-bolsena-il-7-e-l-8-agosto.php">Unonotizie.it</a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-34845437440318144942010-08-06T13:52:00.004+02:002012-02-13T11:18:31.204+01:00In Valle Sturla si rivivono le atmosfere del Medioevo<a href="http://4.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/TFwA7b7kZ5I/AAAAAAAAB4A/NhjnfvgDSuA/s1600/valle+sturla+04_ridimensionare.JPG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5502273865849792402" src="http://4.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/TFwA7b7kZ5I/AAAAAAAAB4A/NhjnfvgDSuA/s200/valle+sturla+04_ridimensionare.JPG" style="display: block; height: 150px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 200px;" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">Il 7 e 8 agosto, nella suggestiva cornice della Valle Sturla (in provincia di Genova), è organizzata dal Centro Anidra (Casali di Stibiveri -Borzonasca) la 1° edizione de "La Giostra dei Casali - Fiera, sagra e giochi medievali" che comprenderà, oltre alla fiera dei prodotti tipici locali, due giornate di attività gratuite per bambini e adulti: giochi a squadre, esibizioni e rievocazioni medievali anche con il fuoco (IannaTampè, Sbandieratori di Lavagna, Balestrieri del Mandraccio), punti ristoro e ristorazione sempre disponibili.<br />
<a name='more'></a><br />
La domenica sera la manifestazione prevederà la sagra dell'asado e dei piatti tipici delle Tre Valli, cucinati direttamente da esponenti delle proloco delleValli stesse. Il concerto di Napo in omaggio De Andrè in fraseggio con i giocolieri con il fuoco medievali, sarà l'evento clou della serata, e giganteschi palloni illuminanti renderanno l'atmosfera ancora più suggestiva. Fra gli enti di prestigio che hanno concesso il loro patrocinio, oltre al Comune di Borzonasca, la provincia di Genova, la regione Liguria, la comunità Montana, i comuni di Santo Stefano d'Aveto, Ne e Mezzanego. L'appuntamento è per sabato 7 agosto ore 10.30 con lo spettacolo inaugurale.<br />
<br />
IL MEDIOEVO IN VALLE STURLA<br />
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Durante la "Giostra dei Casali", del 7 e 8 Agosto, i Casali di Stibiveri rivivranno le atmosfere medievali delle loro origini.<br />
<br />
E' stato scelto il Medioevo come filo conduttore della manifestazione proprio perché all'interno del parco dove si svolgerà l'evento sorge il complesso edilizio dei "Casali", palazzotto alto medievale.<br />
<br />
Le atmosfere medievali saranno ricreate grazie alla partecipazione dei seguenti gruppi di "rievocazioni medievali":<br />
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-Sbandieratori e musici dei sestieri di Lavagna<br />
<br />
-Arcieri dei sestieri di Lavagna con dame in costume<br />
<br />
-Balestrieri del Mandraccio<br />
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-Ianna Tampè: giocolieri medievali con esibizioni anche con il fuoco<br />
<br />
Pertanto nelle due giornate di sabato 7 e domenica 8 agosto nel parco rurale del centro Anidra si potranno incontrare giocolieri, dame, cavalieri, combattenti e musici che intratterranno grandi e piccini con spettacoli e dimostrazioni. Tutti gli spettacoli e le animazioni sono gratuite.<br />
<br />
Il 7 e 8 Agosto il Medioevo ai Casali, in Valle Sturla, a pochi minuti da Borzonasca.<br />
<br />
Per info: www.centroanidra.it 0185 1835737<br />
<br />
fonte:<a href="http://newsfood.com/q/117777e6/la-giostra-dei-casali-il-medioevo-torna-in-valle-sturla/">newsfood</a></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-50986622550643503622010-07-25T15:11:00.002+02:002012-02-13T11:18:57.640+01:00Cene medievali a Camaiore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TEw3zSUrFdI/AAAAAAAABoI/xc5wSCClYiQ/s1600/prima+cena.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TEw3zSUrFdI/AAAAAAAABoI/xc5wSCClYiQ/s320/prima+cena.jpg" /></a></div><br />
<div style="text-align: justify;">Da giugno ad agosto, tutti i mercoledì (e qualche venerdì) alle ore 21, la <b>Compagnia Storica Palio dell’Assunta</b> di Camaiore (LU) organizza delle cene medievali, un viaggio indietro nel tempo ricco di emozioni per rivivere suoni, colori e sapori del Medioevo. Sarà infatti possibile degustare salumi, formaggi, prodotti da forno, salse, minestre, carni, dolci tipici e il tutto annaffiato da un buon bicchier di vino. Per maggiori informazioni cliccate <a href="http://www.sbandieratoricamaiore.it/Cene%20Medievali.html"><b>qui</b></a>.</div><br />
<iframe allowtransparency="true" frameborder="0" scrolling="no" src="http://www.facebook.com/plugins/like.php?href=http%3A%2F%2Falimentazionemedievale.blogspot.com%2F2010%2F07%2Fcene-medievali-camaiore.html&layout=standard&show_faces=true&width=450&action=like&colorscheme=light&height=80" style="border: none; height: 80px; overflow: hidden; width: 450px;"></iframe>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16665841005963533613noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-46672126955541152232010-07-18T16:49:00.002+02:002012-02-13T11:19:13.913+01:00Il mercato medievale di Filetto dal 13 al 16 agosto<div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TEMUJS78HKI/AAAAAAAABm0/An2uwtgBtok/s1600/filetto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_cbUAeOcN_1A/TEMUJS78HKI/AAAAAAAABm0/An2uwtgBtok/s320/filetto.jpg" /></a></div><br />
Dal 13 al 16 agosto 2010 a <b>Filetto di Villafranca (Massa Carrara) </b>avrà luogo il consueto <b>mercato medievale</b>, dove verranno riproposti mestieri medievali, prodotti gastronomici della Lunigiana, costumi d'epoca, botteghe artigiane medievali caratterizzate dalle lavorazioni del legno, del ferro, della pietra, della ceramica, del cuoio, l'intreccio del vimine, la tessitura e il ricamo. Le vie del borgo saranno addobbate con stendardi, illuminate da torce, animate da cartomanti, streghe, musici e menestrelli, mangiafuoco, giocolieri e saltimbanchi, ospiteranno personaggi e attività di un caratteristico mercato medioevale. </div><br />
<div style="text-align: justify;">Sfileranno inoltre i Gruppi storici della Cervia e della Quercia di Querceta, gli Sbandieratori e gli Archirey di Fivizzano, il gruppo storico e sbandieratori “Borghi e contrade città di Aulla”, il gruppo storico “Borgo e valle Città di Levanto”, “Dame e Cavalieri della Selva incantata” del gruppo storico della Pro Loco villafranchese.</div><br />
<div style="text-align: justify;"><i>(fonte<a href="http://www.terredilunigiana.com/"> http://www.terredilunigiana.com</a>) </i></div><br />
<iframe allowtransparency="true" frameborder="0" scrolling="no" src="http://www.facebook.com/plugins/like.php?href=http%3A%2F%2Falimentazionemedievale.blogspot.com%2F2010%2F07%2Fil-mercato-medievale-di-filetto-dal-13.html&layout=standard&show_faces=true&width=450&action=like&colorscheme=light&height=80" style="border: none; height: 80px; overflow: hidden; width: 450px;"></iframe>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16665841005963533613noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-47467298523118316342010-04-25T15:07:00.007+02:002012-02-13T11:19:28.442+01:00A Canino (VT) festa all'insegna dell'asparago e del Medioevo<a href="http://1.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/S9RB_DymFUI/AAAAAAAAByw/Aczalsdukfo/s1600/asparagi1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5464064799512335682" src="http://1.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/S9RB_DymFUI/AAAAAAAAByw/Aczalsdukfo/s200/asparagi1.jpg" style="display: block; height: 88px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 200px;" /></a><br />
Segnalo ai miei lettori un articolo interessante sulla festa dell'asparago a Canino (in provincia di Viterbo) letto stamani sul sito del corriere:<br />
<br />
Ecco un estratto:<br />
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<div style="text-align: justify;">ROMA - Un record da battere e 1.500 uova da sbattere. Canino, borgo in provincia di Viterbo, si prepara a festeggiare l’asparago verde, re della produzione locale, con una tre giorni di ricette. Dal 23 al 25 aprile si potranno assaggiare primi, secondi e persino dolci a base di asparago. E sabato 24 è in programma la «gara di salto» delle frittate.<br />
<a name='more'></a></div><br />
<div style="text-align: justify;">IL «MANGIATUTTO» - Nel viterbese lo conoscono come «mangiatutto» <span style="font-weight: bold;">grazie al fatto che dell’asparago non si butta via niente</span>. L'asparago verde di Canino viene coltivato nelle zone limitrofe la città: le sue caratteristiche organolettiche dipendono dai tipi di terreni, calcareo o d'origine vulcanica, e da un ambiente caratterizzato da un clima mite e temperato; basti pensare che in inverno le temperature sono inferiori ai zero gradi solo in alcuni giorni ed in estate oscillano tra i venticinque e i trentadue gradi. <span style="font-weight: bold;">Proprio per questo fortunato clima, l’asparago di Canino matura molto prima che altrove (si raccoglie già nel mese di gennaio) e questo permette di avere un raccolto enorme e di ottima qualità.</span></div><br />
<div style="text-align: justify;">NON SOLO CIBO – Durante la manifestazione <span style="font-weight: bold;">si potranno visitare le rovine di Castellardo, il forte che nel Medioevo controllava la strada che permetteva di raggiungere Roma evitando le paludi dell’Aurelia</span>. In via eccezionale ci sarà la visita alla necropoli etrusca delle Cento Camere nella frazione di Musignano, di proprietà del Principe di Torlonia. Da non perdere, sempre nelle vicinanze, <span style="font-weight: bold;">la necropoli etrusca di Vulci con il parco e la vecchia città</span>. Lungo un percorso che fonde natura ed archeologia industriale si può ammirare anche un antico mulino del 1860 e una cascata che ha levigato la roccia basaltica. Continua <a href="http://tinyurl.com/2dk24sr">qui</a></div><br />
Fonte: <a href="http://tinyurl.com/2dk24sr">corriere.it</a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-24511480424840601392010-04-11T14:36:00.006+02:002012-02-13T11:19:46.247+01:00L'alimentazione dall'antica Roma al Seicento<div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;">Segnalo ai miei lettori un articolo, trovato su <a href="http://tinyurl.com/ybpzjnm">Blog.it</a>, su come è cambiato il modo di mangiare nei secoli. Il blog contiene anche ricette e articoli molto interessanti (<a href="http://tinyurl.com/y8lbgzc">leggete anche "I banchetti della Roma Imperiale in attesa del 2763 Natale di Roma</a>")<span style="font-weight: bold;"> </span>per chi fosse appassionato all'argomento.</div><br />
Ecco uno stralcio dell'articolo:<br />
<br />
<span style="font-style: italic;">[...] Non si può che partire dall’antica Roma dove, a onor del vero, i gusti e le usanze erano assai diverse da quelle che la Roma moderna offre. Più o meno tutti conoscono il disgustoso uso di infilarsi due dita in gola a fine pasto per svuotare lo stomaco e ricominciare da capo il banchetto, sempre mollemente adagiati sui propri triclini. Se invece si decideva di raggiungere la fine del pasto, si concludeva con lattuga fresca per ‘sgrassare’. Ma non è tutto: i nostri progenitori amavano mescere il vino con l’acqua di mare e preparavano una prelibatezza di formaggio mescolando il latte con un rametto di fico perché questo conteneva una sostanza che lo faceva cagliare. Inoltre consideravano le fave bollite una leccornia, baciavano a bocca chiusa se avevano mangiato il porro e cuocevano i cavoli in acqua nitrata o aceto stagionato per combattere la nausea.</span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-style: italic;">A darci numerose indicazioni sull’alimentazione del suo tempo, sia quella sulle tavole dei nobili che su quelle dei poveri, è il poeta Orazio che, come noi oggi, amava i cibi semplici ed economici quali malve, cicoria, olive, sosteneva che niente fosse meglio di pane e sale per togliere la fame e odiava a tal punto l’aglio da credere che l’avesse inventato una strega di nome Canidia. Orazio racconta che i ricchi mangiavano cibi inusuali come ostriche e pavone e che sulle loro tavole si azzardavano abbinamenti che definiremmo inquietanti, come i tordi con i frutti di mare. I cuochi al loro servizio si affannavano a inventare ricette sempre più stravaganti con cibi ricercati e a volte impensabili. Molti venivano dalle parti più remote dell’impero, come la salsa di pesce dalla penisola iberica o il frumento dalla Libia e i prodotti agricoli dall’Africa; una particolare delizia era considerata la frutta siciliana (non è davvero cambiato niente), il miele della Calabria e le mele del territorio piceno. Ma il poeta non racconta soltanto i banchetti dei nobili, dove dopo ogni portata arrivavano svelti due schiavi: uno puliva la tavola con un panno porpora, l’altro eliminava ogni traccia di cibo mentre gli opulenti commensali si sciacquavano le mani in acqua e vino. Elargiva consigli alle persone comuni: preferire le uova allungate a quelle tonde, scegliere i funghi prataioli, terminare i pasti con le more nere, aprirli con bevande leggere (il nostro aperitivo).</span><br />
<span style="font-style: italic;">Nel Medioevo aumenta il consumo dei cereali e diminuisce quello della carne a vantaggio dei proteici legumi. Il colore del pane, d’ora in poi, indicherà la classe sociale, oltre che l’area geografica di provenienza di ogni individuo e verrà coniato il termine ‘companatico’ a indicare tutto ciò di commestibile che accompagnava il pane, ovviamente centro dell’alimentazione soprattutto di poveri e contadini. Quanto ai ricchi, per loro la vita è sempre stata facile, con tavole imbandite in cui non mancava nulla: brodo, carni in umido dalle preparazioni elaborate come il biancomangiare, frutta e spezie, che più erano abbondanti più erano simbolo di magnificenza. In quest’ottimo sito abbiamo trovato una chicca: a Roma nei secoli bui si mangiavano gli zanzarelli, una sorta di zuppa antenata della nostra stracciatella, in cui l’uovo era utilizzato per l’aspetto esteriore e c’era abbondanza di zafferano, cannella, pepe, zenzero e noce moscata. Molto in voga anche la minestra d’erbe fresche con la lattuga chiamata, appunto, romana, il capretto arrosto, il pollo, la porchetta, che veniva chiamata ‘maiale rovesciato’ perché nella sua preparazione tutto quello che era dentro veniva fuori e viceversa; poi le salse a base di prugne o d’aglio, il cui sapore veniva smorzato con mandorle o succo d’uva e torte cotte nelle braci del camino. I banchetti, poi, erano un vero e proprio spettacolo: c’era l’antipasto di frutta di stagione accompagnata da vini muffati, il ‘primo servizio’ con brodetti vari, il ‘secondo servizio’ con le carni in umido, poi gli arrosti e gli intermezzi, i nostri contorni. Solo a questo punto ci si poteva alzare e ballare sulla musica che veniva suonata dall’inizio alla fine dei pasti. Il vino era solo bianco, perché il rosso, robusto, era considerato adatto a chi lavorava nei campi. Si finiva in bellezza con dolcetti vari e come digestivi semini di anice o cardamomo.</span><br />
<span style="font-style: italic;">A cavallo tra Medioevo e Rinascimento divenne famoso il Maestro Martino, che perfezionò la sua arte culinaria proprio a Roma, nelle cucine del Vaticano. In questo periodo si consumavano minestre a base di latte e riso e carne di selvaggina che venivano preparate in crosta di pane, ma proprio lui dette inizio a una grande tradizione romana: quella della pasta asciutta, cucinando per primo maccheroni e vermicelli conditi con uvetta, burro e sale.</span><br />
<span style="font-style: italic;">Nei secoli del Rinascimento la cucina cambiò molto, grazie alle patate, al mais, al tacchino e al cacao che furono portati dalle Americhe, o al caffè e al tè dall’Oriente. Tutti prodotti che però ci misero molto per affermarsi: la patata ad esempio fu usata nell’alimentazione umana solo a partire dal Settecento e lo stesso il mais, usato per disperazione come unica alternativa alla morte in tempi di carestia, sottoforma di polenta. E sempre dopo il Seicento la bevanda del cacao, la cioccolata calda, fu scoperta da re e regine [...]</span> <a href="http://tinyurl.com/ybpzjnm"><span style="font-weight: bold;">continua qui</span></a></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-17804843054804230412010-02-03T22:28:00.007+01:002012-02-13T11:20:06.210+01:00Sagra del polentone vicino Rieti il 21 febbraio<a href="http://4.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/S2nrn3sFiNI/AAAAAAAABrI/CSSw-4XPXLY/s1600-h/polenta-pittura-1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5434133495595501778" src="http://4.bp.blogspot.com/_XDf6Lxh216k/S2nrn3sFiNI/AAAAAAAABrI/CSSw-4XPXLY/s200/polenta-pittura-1.jpg" style="display: block; height: 200px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 191px;" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">Segnalo a tutti i miei lettori la Sagra del polentone di Castel di Tora.<br />
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Tra maschere e combattimenti il medioevo ha inizio in Sabina. Ai piedi del Monte Navegna, a pochi passi tra Roma e Rieti domenica 21 febbraio il piccolo paese di Castel di Tora fa un tuffo nel passato enogastronomico della Sabina.<br />
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All'entrata del centro storico sarà posto un paiolo di rame gigante che verrà riscaldato da un enorme falò dove un'esperta polentara castelvecchiese girerà a mestiere il ramaiolo fin dalle prime ore del mattino. Già dal 1920 questo piatto, povero per definizione, è considerato un simbolo del paese reatino che si affaccia sul Lago del Turano e così, da quasi un secolo, non passa anno in cui non si rinnovi la sagra ad esso dedicata. Il polentone viene condito tradizionalmente con un sugo di aringa, tonno, baccalà ed alici.<br />
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Per dare un pizzico di innovazione alla manifestazione ci sarà l'angolo dedicato ai "Sapori della Nostra Provincia" con la degustazione della Bruschetta all'olio extra vergine d'oliva della Sabina, a cura della Pro loco di Casaprota e nel pomeriggio la degustazione dei famosi "spaghetti all'amatriciana" cucinati dalla Proloco di Amatrice.<br />
Nel borgo, edifici in pietra con coperture in legno e coppi di laterizio ricordano abitazioni tipiche dell'architettura rurale dove portali antichi, viuzze con archi, scalinate, passaggi, grotte e cantine scavate nella roccia ci immergono in un contesto medievale. Castel di Tora non offre solo paesaggi urbani, la sua posizione infatti consente ai turisti di godere sia del lago artificiale dove durante l'estate è possibile fare il bagno, ma anche della corona di fitti boschi dove è possibile passeggiare. Il borgo di Castel di Tora classificato come "Uno dei borghi piu' belli d'Italia", offre al turista angoli caratteristici meritevoli di essere visitati.<br />
Il 21 febbraio sarà dedicato non solo al buon pasteggiare, ma anche alla rievocazione storica delle tradizioni e dei costumi di un tempo. Nel pomeriggio i visitatori potranno ammirare la sfilata in costume medievale per le vie del Borgo e i combattimenti simulati da attori in maschera.<br />
Castel di Tora è uno dei sedici paesi a far parte dell'Associazione Culturale dei "Polentari d'Italia", uniti dalla stessa voglia di riscoprire le tradizioni e confrontarsi attraverso la "Polenta", piatto che unisce idealmente l'Italia da Nord a Sud. La fama del "Polentone di Castel di Tora" ha varcato ormai i confini regionali, spesso, infatti accade che la Pro Loco venga invitata in altri paesi per offrire la degustazione del prelibato alimento.<br />
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<div style="text-align: justify;">Vuoi sapere cosa mangiavano nel Medioevo? <a href="http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=318281">Acquista</a> il mio libro! <a href="http://www.lulu.com/content/e-book/il-trecentonovelle-di-franco-sacchetti-come-fonte-per-la-storia-dellalimentazione-nel-basso-medioevo/7603575">Qui</a> troverai anche la versione elettronica!</div><br />
<span style="font-style: italic;">Luogo: centro storico di Castel di Tora (Rieti).</span><br />
<span style="font-style: italic;">Data: 20 - 21 febbraio 2010 dalle ore 11,00.</span><br />
<span style="font-style: italic;">Costi di partecipazione: ingresso gratuito.</span><br />
<span style="font-style: italic;">Percorso: Per arrivare a Castel di Tora da Roma A 24 uscita Carsoli direzione Lago del Turano;Dalla Salaria per Rieti, loc. "Ornaro" direzione Lago del Turano - Castel di Tora; Da Rieti Fonte Cottorella - SP Valle Turano direzione Lago del Turano.</span><br />
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(tratto da <a href="http://www.viniesapori.net/articolo/sagra-del-polentone-di-castel-di-tora-2010-0302.html">viniesapori.net</a>)</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-3405780848293594262009-08-19T21:30:00.001+02:002012-02-13T12:34:47.845+01:00Introduzione<div style="text-align: justify;">
Il Trecentonovelle non è solo una raccolta di novelle che si presentano nella loro disinvolta evidenza di fatti e storie inclini a saldarsi nell’incisività dell’aneddoto o nel colore di una figurazione icastica: è molto di più. È anche un efficace veicolo per ricostruire le consuetudini di vita della popolazione del basso Medioevo, soprattutto quelle riguardanti l’alimentazione e l’incidenza concreta, quotidiana, che una struttura economico-sociale ebbe sulla vita degli uomini.<br />
La storia dell’alimentazione, almeno fino a qualche decennio fa, per l’Italia, fino agli studi di Massimo Montanari, è stata studiata in discipline “chirurgicamente” separate, spesso non comunicanti tra di loro; il risultato di ricerche settoriali è stato quello di rendere conto in modo approfondito di singoli aspetti, senza affrontare unitariamente le problematiche. Il lavoro condotto per la stesura di questo saggio è fornito proprio dalla ricerca di una fonte che potesse, unicamente e limitatamente ad un contesto spazio-temporale definito, dare un quadro complessivo di come fosse vissuto il rapporto tra uomo e cibo. In questa prospettiva, la raccolta del Sacchetti è esemplare: attraverso uno spaccato della società bassomedievale, l’autore ci fornisce una serie di elementi che è impossibile scindere; non si può preferire un aspetto ad un altro per il solo piacere di analizzarlo: gli aspetti fisiologici, economici, sociali, religiosi e psicologici sono correlati fra loro e tutti forieri di un’interpretazione che va oltre la “storiella burlesca” e che cela profondi significati culturali e simbolici. Molto utile si è rivelato, per un approccio storico alle novelle, il testo di G. Cherubini, Vita trecentesca nelle novelle di Giovanni Sercambi, in “Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso Medioevo”, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1974.<br />
I personaggi descritti dal Sacchetti, intenti quasi sempre a svolgere le loro attività produttive, con i loro gesti e le loro abitudini, costituiscono un paradigma degno di nota per approfondire la storia dell’alimentazione. Rappresentano situazioni e comportamenti ideali per muoverci all’interno di approcci storiografici più recenti, che non si esauriscono nella ricostruzione delle imprese dei grandi uomini, ma si interessano anche alle strutture del quotidiano, alle quali appartengono gli usi alimentari dei popoli.<br />
All’interno di queste strutture, le minime situazioni della vita di tutti i giorni hanno qualcosa di necessario, un senso ordinato. Se possono apparire immobili in relazione ad altri eventi storici, avvenimenti o cicli congiunturali, esse sono in realtà tutt’altro che statiche, anche se si sviluppano in un tempo molto più lento, il tempo lungo delle strutture, come ha evidenziato Fernand Braudel. In realtà i gesti di ogni giorno mutano con tutto quanto è collegato ad essi. Le strutture del quotidiano sono avvinghiate alla storia. Se pensiamo prima ai Greci, e poi agli antichi Romani, essi hanno desinato coricati sui letti; ma dall’alto Medioevo gli occidentali hanno abbandonato quella posizione, per mangiare seduti. Questo cambiamento di atteggiamento non è isolabile da altre trasformazioni avvenute parallelamente: in seguito, liberando la mano sinistra, la posizione seduta ha consentito di tagliare grosse porzioni di carne con i coltelli, che compaiono appunto allora sulla tavola. E senz’altro non è un coincidenza se questi “mangiatori di carne” sono stati anche coloro che hanno introdotto l’uso della forchetta. La quotidianità delle novelle ci ha così permesso di far luce su alcuni aspetti peculiari del consumo alimentare: il rapporto tra l’uomo e l’ambiente circostante, l’utilità delle figure di mestiere nella trasformazione e nella vendita del cibo, le tecniche di cottura degli alimenti e l’utilizzo di utensili rivelatori di ricette e della consistenza delle stesse.<br />
Queste sono le chiavi con cui si è affrontato il tema dell’alimentazione nel basso Medioevo soprattutto nell’area toscana, nella quale sono ambientate la maggior parte delle novelle del Sacchetti.<br />
Il Trecentonovelle ci ha restituito l’immagine di una società dove l’attività economica predominante era ancora l’agricoltura e dove la maggior parte degli abitanti erano contadini o artigiani. In effetti, questi secoli di espansione mercantile, manifatturiera e di relativa urbanizzazione hanno visto le strutture portanti della società rimanere le stesse: generalmente i prodotti oggetto di scambio, sia elaborati che allo stato grezzo, provenivano dalla coltivazione o dall’allevamento. Foreste e agricoltura offrivano quasi tutte le materie prime da plasmare, perché nel complesso era ancora minima l’importanza dei metalli nella vita economica.<br />
La prima parte dell’elaborato sarà incentrata sugli animali e sul relativo allevamento, dato che costituivano una delle risorse alimentari (e non solo) più importanti sia per le famiglie contadine sia per i ceti più abbienti. Prenderò in considerazione il ruolo che ha rivestito il maiale, l’alimento per eccellenza dell’epoca medievale, mettendo a fuoco la mutazione delle tecniche di allevamento che traspare nella transizione tra l’alto e il basso Medioevo, le difficoltà relative alla macellazione dell’animale dovute alla scarsa dimestichezza di figure non adibite alla professione e gli strumenti utilizzati per lo scopo. Ma emergeranno anche parametri indicativi sul peso delle bestie, sulle loro fattezze fisiche, sulla condotta dei loro padroni. Presteranno il fianco, inoltre, ad ulteriori considerazioni anche la polivalenza delle sue parti e gli aneddoti relativi alla sistemazione e alla conservazione del suino.<br />
Successivamente mi occuperò del ruolo degli ovini nell’economia domestica sottolineando l’importanza della pecora che, a differenza dei suini, era molto utile anche da viva in quanto fornitrice di latte e lana. Mi soffermerò anche qui sull’allevamento delle bestie e su come la loro carne venisse considerata dall’opinione comune. Interessante è anche osservare come il consumo di questo alimento veniva scandito da riti legati alle liturgie che andavano oltre l’economia e la sussistenza delle famiglie. Un altro aspetto che verrà preso in considerazione riguarderà gli alimenti derivati: l’incidenza del latte nella società descritta dal Sacchetti e il ruolo che ricopriva il formaggio sia come alimento in se stesso sia come merce di scambio per i mercati.<br />
Per quanto riguarda gli animali da cortile, invece, essi costituivano una valida risorsa per il fabbisogno della famiglia contadina. Alcuni godevano di un’ottima reputazione tanto da essere serviti nelle occasioni di festa per il sapore e la consistenza delle loro carni. Vedremo, inoltre, che ad ogni festa religiosa sarà usanza cucinare un animale diverso. A tal proposito non si può trascurare il ruolo delle uova, cibo ricco, sano e nutriente che spesso, oltre ad essere consumato dai contadini (stabilirne la quantità è impossibile), costituiva per loro un ulteriore cespite di guadagno , dato che non disdegnavano venderle sui mercati cittadini.<br />
Un’altra risorsa di rilievo era costituita dalla selvaggina che vagava indisturbata nelle foreste. Se per i contadini era un’ulteriore fonte integrativa alla loro dieta, per i giovani nobili la sua cattura rappresentava anche un motivo d’addestramento militare; attraverso la caccia, infatti, imparavano ad usare le armi.<br />
In seguito tratterò le tecniche di cattura degli animali: cercherò di capire, tramite la testimonianza delle novelle, quale era la selvaggina più ambita e quali erano i luoghi teatro di caccia. Mi soffermerò anche sui sistemi utilizzati dai contadini per catturare gli animali mettendoli poi in relazione con quelli in uso dalle classi più agiate. Il raffronto è possibile dal momento che l’approccio all’attività venatoria era totalmente opposto.<br />
Le novelle, inoltre, ci offrono particolari utili per farci un’opinione su quali erano gli animali maggiormente ricercati e quali più temuti.<br />
Se la caccia costituiva una risorsa significativa, la pesca non era da meno: la facilità con cui veniva catturato questo prodotto e la bontà di alcune specie ne facevano un cibo particolarmente apprezzato. Di conseguenza mi è parso opportuno soffermarmi sulla sua larga reperibilità e sulla sua compravendita: in effetti, una derrata a disposizione di tutti, sia nelle acque dolci dell’interno che nel mare, non poteva non essere venduta in grande quantità sui banchi del mercato e nelle pescherie. Ma il pesce era anche alimento dalle connotazioni fortemente religiose; l’astinenza dalla carne nel periodo di Quaresima ne faceva la vivanda più ricercata. In merito a questo tema, il Trecentonovelle ci fornisce una testimonianza su come venivano recepiti dalla popolazione tali precetti. Le novelle sono di grande utilità anche per determinare quali erano le specie, reputate all’epoca, più succulente e quali i metodi più utilizzati per catturarle.<br />
Gli uomini non si cibavano solo di animali. Esistevano prodotti meno gustosi, che fornivano comunque un apporto quotidiano soprattutto sulle mense dei contadini, ossia i prodotti dell’orto. Le novelle prese in esame ci danno indicazioni sulla loro dislocazione, su quali ortaggi venivano coltivati e quali adoperati per fare salse o preparare minestre. In alcuni casi l’uso così diffuso ci induce a considerare aspetti che vanno al di là del semplice consumo, come ad esempio la buona conservazione nel tempo, le proprietà curative o i significati simbolici. Le novelle ci mostrano anche i più ricchi intenti a consumare pasti frugali mettendo in discussione il luogo comune che erano ritenuti alimenti riservati ai poveri. La differenza sostanziale era che per loro costituiva una variante, mentre per i più poveri rappresentava la sussistenza quotidiana.<br />
Noteremo, poi, che con l'impulso del mercato il consumo degli ortaggi non fu più limitato agli stessi produttori: la commercializzazione di tali prodotti divenne dinamica, sia nei mercati più distanti (quando gli ortaggi non erano troppo facilmente deteriorabili) sia, e soprattutto, negli scambi fra le campagne e i vicini centri urbani.<br />
Interessanti sono anche le indicazioni che riguardano gli strumenti di manutenzione dei vegetali, soprattutto perché ci confermano una relativa contiguità tra i seminativi dei campi e quelli dell’orto.<br />
Per quanto riguarda il ruolo della frutta, le notizie sono poche ma permettono di capire che essa veniva apprezzata da persone di tutti gli strati sociali. Indiscutibilmente per i più poveri, il consumo di frutta aveva comunque una valenza marginale; essi ne usufruivano solo se piantavano qualche albero da frutto nel proprio orto, mentre i nobili ne facevano ampio uso soprattutto nelle occasioni di festa. In definitiva, la frutta ricopriva ancora il ruolo di prodotto di nicchia poiché solo i fini palati dell'aristocrazia potevano gustarla con regolarità.<br />
Se la frutta era considerata cibo da ricchi, ciò non si può dire per la castagna che, soprattutto per gli abitanti delle zone di montagna, contribuiva a fornire un significativo apporto calorico ai loro pasti. In merito, vedremo con quali sistemi le castagne venivano conservate e con quali modalità venivano consumate.<br />
Dalla lettura delle novelle, poi, emerge il ruolo fondamentale del vino, una risorsa di grande peso per il suo valore nutrizionale, officinale e liturgico, senza dimenticare la sua diffusione “trasversale” nella società e la sua notevole importanza nel favorire la convivialità.<br />
Cercheremo di capire su quali standard si allineava la qualità della bevanda, con quali criteri veniva conservata e consumata, e gli eventuali risvolti economici che ne scaturivano.<br />
Mi occuperò poi delle figure di mestiere, figure che avevano il compito di trasformare i cibi o di venderli. Osservare i lavori che venivano svolti sugli alimenti è stata un’ottima occasione per comprendere meglio i meccanismi alimentari della società dell’epoca.<br />
La più antica figura in questo campo era quella dell’oste: il Sacchetti ne descrive le mansioni, le tipologie di cibo che offriva agli avventori senza tralasciare anche particolari sulla sua indole, utili per capire anche chi frequentava le taverne.<br />
Successivamente mi soffermerò sul mestiere del fornaio, una delle figure più interessanti; egli aveva un ruolo decisamente importante perché cucinava l’impasto preparato dalle donne a casa, oltre a confezionare alcune pagnotte per i viaggiatori o per chi non poteva provvedere da solo. Se pensiamo che egli manteneva la giusta temperatura durante la cottura senza avere a disposizione né orologio né termometro, ci rendiamo conto di quanto fosse delicata la sua attività. Il Sacchetti, descrivendolo oberato di lavoro, gli conferisce la giusta importanza all’interno del centro urbano. Osservando il fornaio, poi, si potevano capire molte cose: ad esempio le abitudini alimentari della gente, osservare quali cibi venivano commissionati (perché nei forni non veniva cucinato solo il pane, ma anche la carne e il pesce), perfino la situazione economica di un paese.<br />
Se il fornaio aveva il compito di cucinare il pane, il mugnaio, invece, era colui che era abilissimo nel far funzionare la complicata macchina del mulino. Ma il Sacchetti più che elogiare o fornirci particolari tecnici su questo mestiere, si sofferma sull’abilità truffaldina dei mugnai, che erano percepiti disonesti, pigri e superficiali. La loro cattiva reputazione ebbe un peso determinante contro artigiani indispensabili, ma un po’ marginali.<br />
Un ruolo di primo piano aveva il macellaio, che vendeva tutti quegli animali nominati in precedenza e soggetti all’allevamento. La lettura delle novelle ci permette di capire quali tipi di carne e soprattutto in quali periodi dell’anno andavano per la maggiore. Degni di nota sono i particolari relativi ai luoghi che venivano adibiti a mercato e allo scarico degli scarti animali. Notevoli sono anche le informazioni che riguardano l’attività dei beccai: vengono descritte le procedure relative alla macellazione delle bestie (soprattutto il maiale), ma emergono anche dettagli su un lavoro che talvolta veniva esercitato a domicilio. Compaiono, inoltre, una serie di luoghi nei quali si commerciava la carne: chioschi, botteghe, taverne e anche sui banchi della frutta, ognuno con caratteristiche differenti .<br />
Di rilievo è anche il ruolo del vignaiolo: le novelle ci forniscono indicazioni sulle opinioni dell’epoca in merito alla vite da trapiantare e sulla qualità del prodotto ottenuto. Affiorano particolari anche sui luoghi adibiti all’innesto e alle tecniche di manutenzione della pianta. Il Sacchetti sottolinea, poi, le diverse scelte dei nobili che, per motivi di prestigio, cercavano vitigni di valore al di fuori della regione d’appartenenza.<br />
Infine l’analisi si sposta sulla tecniche di cottura dei cibi, sugli ingredienti utilizzati, sulle ricette e sui condimenti. Spicca anche l’importanza attribuita all’estetica della cucina, dove il piacere della sorpresa e dei colori erano tenuti in grande considerazione. Si apprende, per di più, come si cucinavano le varie pietanze, con quali cibi venivano abbinate o guarnite e come le valutavano i personaggi.<br />
Ho esteso la mia attenzione anche sugli strumenti della cucina. Mi sono occupato del focolare/camino, cercando di capire dove fosse sistemato, con quali materiali fosse costruito e se fossero utilizzati degli attrezzi per governare il fuoco. Poi ho esaminato le pentole, le grattugie, i recipienti e tutti gli utensili nominati: questo lavoro si è rivelato utile perché mi ha fornito ulteriori parametri di valutazione riguardo alle vivande preparate. L’uso di certi alimenti mi ha, invece, suggerito l’impiego di determinati oggetti che mancavano all’interno delle novelle.<br />
Infine la mia attenzione si è focalizzata su quali suppellettili venivano adoperate durante il pasto; interessante è stato apprendere come sedie, tavoli e il vasellame da cucina, non solo denotavano una gerarchia nella società, ma anche all’interno della famiglia.<br />
La lettura del Trecentonovelle ci offre preziose informazioni sulla cucina medievale, fondendo nozioni provenienti dalla vita e dall’esperienza quotidiana, dalla cultura medica o dall’ambito religioso, ed evidenzia le caratteristiche del genere stesso e il metodo di lavoro del Sacchetti, che ha abilmente amalgamato contributi provenienti da sfere culturali diverse e ricostruito con buona dovizia di particolari l’affascinante e ricco mondo gastronomico del basso Medioevo.</div>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-9237441597488350012009-08-19T21:25:00.000+02:002009-08-19T21:36:32.631+02:00Franco Sacchetti<div style="text-align: justify;">Franco Sacchetti nacque a Ragusa di Dalmazia fra il 1332 e il 1334. Figlio di un mercante fiorentino, esercitò fin da giovane la mercatura costituendo una società insieme ad Antonio Sacchetti e Antonio Corradi durata fino al 1254.<br />Sacchetti era un uomo pratico, formatosi, più che a scuola, a contatto con ambienti diversi. Visse in un periodo in cui la grande fioritura letteraria in volgare stava per finire per l’assenza di grandi capolavori: tutto il secolo che va dalla morte del Boccaccio (1375) alle Stanze di Poliziano (1475) venne definito parafrasando la formula del Croce “secolo senza poesia” .<br />I limiti della sua educazione culturale gli impedirono di vedere che quella crisi era dovuta al sorgere dell'Umanesimo e della società ad esso legata. Tutta la sua produzione poetica tende a ripercorrere modelli letterari precedenti.<br />Negli anni fra il ’52 e il ’54 compose la sua prima opera letteraria, La battaglia delle donne di Firenze con le vecchie, poemetto in ottave che rielabora in quattro cantari motivi boccacceschi. E proprio nel ’54 sposò Felice Strozzi, dalla quale ebbe numerosi figli .<br />Cominciò a comporre nel ’63 cacce, madrigali e ballate che poi raccolse nel suo Il Libro delle rime, aggiungendovi quei componimenti di ispirazione morale o civile che scrisse nell’età matura e nella vecchiaia . L’opera è ordinata secondo una successione rigidamente cronologica: sono trattate in maniera convenzionale la tematica moralistica, quella amorosa, la produzione per musica, mentre significative sono alcune sperimentazioni comiche che a volte anticipano felicemente il nonsense burchiellesco .<br />Rimasto a Firenze nel 1363, dopo aver viaggiato in Italia e all’estero per le sue attività commerciali, ebbe incarichi politici da parte del Comune fiorentino e di altre comunità fuori di Firenze: fu anche ambasciatore a Bologna (1376), presso Bernabò Visconti (1382), membro degli Otto di balìa (1383), priore (1384), podestà di Bibbiena (1385), di Portico di Romagna (1398-99) e di San Miniato (dove probabilmente scrisse la sua opera più celebre e morì nel 1400 forse di peste) .<br />Con i 49 capitoli delle Esposizioni dei Vangeli (Sposizioni dei Vangeli, 1378-1381), scritto in un periodo di lutti familiari e di gravi incertezze politiche (la morte della moglie nel ’77 e il tumulto dei Ciompi nel ’78), il Sacchetti si aprì alla prosa, a una nuova forma espressiva che raggiunse gli esiti più alti con il Trecentonovelle . L'opera, che viene conservata nel manoscritto del codice Magliabechiano VI, 112 (fino alla novella CXXXIX) nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e nel codice Laurenziano XLII, 12 (dalla novella CXL in poi), piuttosto danneggiata, venne data alle stampe da A. M. Biscioni a cura di G. Bottari nel 1724 . La raccolta, che quasi certamente fu progettata dal Sacchetti durante il suo incarico di priore nel 1385 a Bibbiena, è stata scritta agli inizi del 1392 durante il podestariato di San Miniato per essere sviluppata in diversi momenti tra il 1393 e la sua morte. Essa contiene, così come è stata serbata, duecentoventotto novelle, alcune delle quali incomplete .<br />L’opera esordisce con un proemio nel quale l'autore dichiara i suoi intenti: secondo il modello del Boccaccio, il Sacchetti raccoglie tutte le novelle dalle antiche alle moderne, oltre ad alcune in cui egli stesso fu protagonista . Il testo, che è costruito sul tipo dell'exemplum , si rifà al Decameron ma anche alla tradizione orale del popolo, ed è scritto in una lingua che risente di dialettismi, parole del gergo, modi della lingua parlata e con notevoli libertà di carattere sintattico .<br />Si ricava pertanto dall'opera la predisposizione all'autobiografia e un marcato senso moralistico, che viene spiegato dall'autore stesso quando dichiara di voler prendere a modello Dante “che quando avea a trattare di virtù e lode altrui, parlava egli, e quando avea a dire e' vizi e biasimare altrui, lo facea dire agli spiriti” .<br />Vi è da dire, che per quanto il Sacchetti riprenda più o meno apertamente i motivi boccacceschi, il suo stile si stacca notevolmente dall'arte del narrare tipico di quest'ultimo, fino a dar vita ad un’opera per molti versi completamente differente dal Decameron. Le novelle infatti non sono incluse in una “cornice narrativa”, ma si dipanano liberamente senza seguire alcun progetto unitario di contenuto . Sacchetti si rifà piuttosto alla tradizione duecentesca della raccolta disorganica di tipo arcaico, mostrando uno spiccato gusto per la narrazione aneddotica, comica e realistica. Le novelle, quasi tutte di ambientazione fiorentina, trattano del potere del signore o del comune, del tema della burla, e raccontano le avventure di giullari di professione o di burlatori d'occasione. Proprio in questo contesto assume particolare rilievo il genere comico della beffa, che rimarrà vitale nella cultura popolare fiorentina anche per tutto il secolo successivo . Alcune novelle sono dedicate ad illustri personaggi dell'epoca, come Bernabò Visconti, Guglielmo di Castelbarco, Martino della Scala, Ludovico Gonzaga e un intero ciclo al giullare Dolcibene . Quasi tutte le novelle riportano in conclusione la cosiddetta moralisatio, dove l'autore rimprovera l'avarizia e l'ipocrisia, condanna il clero, i magistrati corrotti e le donne tronfie per mettere in risalto l'onestà, l'intelligenza e l'umorismo . L’autore nei confronti delle donne nutre una vera e propria diffidenza (le presenta sempre in cattiva luce: la donna per il Sacchetti vale solo se ha utili funzioni economiche e familiari) .<br />La grande innovazione del Sacchetti consiste nel proporsi come narratore delle proprie novelle, assottigliando la distanza fino allora esistente tra narratore e destinatario. Egli pertanto conduce il racconto in un contesto più ristretto di vita municipale, narrando le storie di personaggi e casi curiosi, di piccole vicende di vita quotidiana, del minuto mondo cittadino. Cosicché, assente qualsiasi disegno complessivo d'insieme, ogni novella ha il sapore del fatto accaduto ed è l'occasione per dedurre dalla realtà non solo un insegnamento morale, ma anche particolari peculiari sulle abitudini alimentari dei personaggi. Pertanto utilizzerò l’opera come fonte per la storia dell’alimentazione nel basso Medioevo prendendo come riferimento il seguente testo: F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, a cura di E. Faccioli, Torino, Einaudi, 1970.<br />Per la stesura dell’elaborato, ho utilizzato come punto di riferimento il testo di V. Mouchet, Il cibo nelle novelle medievali tra realtà, simbolo e narrazione, in “La sapida eloquenza. Retorica del cibo e cibo retorico”, a cura di C. Spila, Bulzoni, Roma 2004, p. 89-112.</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-4545068511485559222009-08-19T21:20:00.000+02:002009-08-19T21:36:47.872+02:001.1 Gli animali come risorsa domestica<div style="text-align: justify;">L’aspetto che più colpisce, leggendo il Trecentonovelle, è la fitta presenza degli animali sulle tavole bassomedievali. In effetti maiali, capponi, starne, capretti, castroni senza dimenticare le molteplici varietà di pesce, alimento consumato dal clero e prediletto dalla comunità nei periodi di magro, venivano consumati sia dai ceti benestanti sia dai poveri. Ovviamente l’incidenza di questo regime alimentare, all’insegna della carne, pendeva tutto a favore dei primi, che rispetto ai più indigenti potevano spendere somme considerevoli per accaparrarsi i cibi più succulenti. La dieta dei contadini, improntata sul consumo dei cereali (caratteristica che nell’opera del Sacchetti fatica ad emergere), veniva incrementata e migliorata grazie all’allevamento dei volatili da cortile e, soprattutto, di qualche suino riservato alla mensa familiare. Questa opportunità garantiva all’uomo medievale non solo una sicura risorsa di cibo ma anche l’utilizzo di alimenti derivati, riserva preziosa soprattutto per il sostentamento dei ceti meno fortunati. Bisogna anche mettere in conto che probabilmente sarebbe stato più semplice uccidere un animale addomesticato che uno selvatico.<br />Sono molteplici le novelle del Sacchetti (<a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-lxx.html" target="_blank">LXX</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cii.html" target="_blank">CII</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cx.html" target="_blank">CX</a>) che narrano le logoranti manovre, non sempre giunte a buon fine, per acciuffare, ammazzare e conciare i porci. Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-lxx.html" target="_blank">LXX</a>, Torello vuole uccidere uno dei maiali ricevuti in dono ma, a causa della scarsa dimestichezza, riesce solo a ferirlo. I grugniti dell’animale spaurito attirano l’altro porco che si precipita in suo aiuto, creando così una violenta colluttazione con il contadino:<br /><br />“<span style="font-style: italic;">Torello recatosi in concio che era gottoso e debole, si mette il grembiule, e chinasi e fa chinare gli altri a pigliare il detto porco per le gambe, e fannolo cadere in terra: come gli è in terra, Torello che avea attaccato il coltellino alla coreggia, se lo reca in mano, e volendo fedire il porco per ucciderlo, e standoli col ginocchio addosso e senza brache, e 'l figliuolo essendo andato per un catino per la dolcia, appena era il ferro entrato nella carne un'oncia, che 'l porco cominciò a gridare; l'altro che era sotto una scala, sentendo gridare il compagno, corre e dà tra' calonaci di Torello. Come il ferito sente il compagno venuto alla riscossa, furiosamente dà un guizzo sì fatto che caccia Torello in terra.</span>”<br /><br />In appendice alla novella, Sacchetti descrive quanto è successo ad un altro giovane, il quale viene ferito da un maiale che egli tenta a sua volta di uccidere; è interessante evidenziare come la furia dell’animale [...]<br /></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-71534387397920187322009-08-19T21:15:00.000+02:002009-08-19T21:37:02.777+02:001.2 Il maiale<div style="text-align: justify;">Molte novelle del Sacchetti hanno come protagonista il maiale, senza dubbio il cibo per eccellenza dell’epoca medievale. La carne di suino è la pietanza che appare più di tutte sulle tavole sia dei signori che dei ceti meno abbienti. Fin dall’età romana l’allevamento dei maiali ha rivestito un ruolo fondamentale per il fabbisogno alimentare dei popoli; la Valle Padana, famosa per la produzione di ghiande, consentiva l’allevamento su larga scala dei suini, destinati sia al consumo locale sia al rifornimento della capitale e degli eserciti. Per l’alto Medioevo il maiale rappresentò l’alimento base della dieta carnea e i documenti privati rivelano un numero di persone addette all’allevamento dei maiali di solito superiore a quello degli altri pastori. Nei secoli successivi, invece, l’alimentazione fu più varia, ma gli animali di piccola taglia, tra i quali il maiale, non mancarono mai nei possedimenti delle famiglie .<br />La novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-lxx.html" target="_blank">LXX</a> ci mostra un padre e un figlio, coadiuvati da un servo, che si occupano dell’uccisione di alcuni maiali. In questo caso, il capofamiglia opta per questa soluzione semplicemente per risparmiare denaro; la vicenda è ambientata nel periodo in cui della macellazione dei suini si occupano i beccai o i tavernieri. Ciò dimostra che anche nel basso Medioevo c’era chi continuava ad allevare e a uccidere i maiali per conto suo senza ricorrere a figure del mestiere.<br />La cosa non stupisce affatto dato che ancora oggi, soprattutto nel sud Italia, questo rito non è stato cancellato né dal mutare dei tempi né dal progresso che avanza inesorabile. Molte famiglie contadine continuano a crescere e ad uccidere il maiale, ed il giorno della “mattanza” è un giorno di festa.<br />Ma anche chi lo faceva per professione aveva bisogno di collaboratori; la novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cii.html" target="_blank">CII</a>, infatti, descrive un tavernaio alle prese con un problema non da poco: dopo aver ucciso e scottato un maiale, non riesce ad appenderlo alla caviglia. Alla fine riuscirà a sollevare la bestia solo con l’aiuto dei contadini che lavorano nelle terre confinanti.<br />Un altro particolare degno di nota lo si apprende nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cxlvi.html" target="_blank">CXLVI</a>: un gentiluomo povero decide, con l’aiuto di un compagno, di rubare un maiale per poi ucciderlo insieme ad uno di sua proprietà. I due maiali sarebbero poi stati consegnati ad un taverniere con il quale egli aveva un debito da saldare. Il racconto ci fornisce alcuni elementi interessanti: c’è una sostanziale differenza di peso tra i due maiali, quello rubato pesa il doppio di quello dell’uomo: “Era forse libbre centocinquanta: l'imbolato era trecento.”. La netta oscillazione del peso degli animali era probabilmente dovuta alle qualità di vita delle bestie che ovviamente risentivano delle condizioni economiche dei loro padroni; infatti il maiale del contadino povero si presenta molto magro. Dal racconto non è dato sapere chi fosse il proprietario del suino “in carne”, ma probabilmente doveva essere di condizione benestante. La novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccxiv.html" target="_blank">CCXIV</a>, che ha una trama pressoché analoga, rafforza l’ipotesi: in quel caso il robusto maiale trafugato appartiene ad un notaio.<br />Ritornando alla novella precedente, il contadino per risparmiare i denari della gabella decide di nascondere lo scarno suino in quello più robusto:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“- Sa' tu quello ch'io ho pensato? che io voglio che noi spariamo bene quel porco grande, e mettervi dentro quel piccolo, e poi l'affascineremo con questo alloro, e non fia niuno che possa immaginare che sia altro che uno.” </span><br /><br />Successivamente i gabellieri scopriranno la truffa e lo sventurato [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-24453639467826783222009-08-19T21:10:00.000+02:002009-08-19T21:37:36.100+02:001.3 Pecore e capre<div style="text-align: justify;">Rispetto al maiale, gli ovini non venivano allevati principalmente per la carne. La maggior parte di essi venivano uccisi nel terzo o quarto anno di vita a conferma del fatto che fossero più utili come animali vivi. Esaminando poi i dati del polittico di Santa Giulia di Brescia si nota che l’allevamento delle pecore, tra il IX e il X secolo, non era uniformemente e capillarmente diffuso come quello dei maiali; tuttavia, nei secoli a venire l’Europa scoprì che, fra tutti gli animali domestici, la pecora era quello più produttivo. Essa forniva il latte, la carne e la lana che serviva a confezionare gli indumenti, in un periodo storico in cui ciascuno cercava di provvedere direttamente ai suoi bisogni primari. Non erano da trascurare, inoltre, le pelli che potevano essere vendute ai produttori di pergamena, i quali si trovarono d’improvviso al centro di un commercio molto attivo di materiali per manoscritti, e il sego che serviva per fabbricare le candele.<br />In merito all’allevamento degli ovini non ci sono elementi indicativi all’interno delle novelle, il Sacchetti si sofferma sulla carne già macellata e sul relativo impiego gastronomico. Nella già citata novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-clx.html" target="_blank">CLX</a> troviamo in vendita sui deschi del mercato fiorentino una considerevole quantità di castroni:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“Il quale uno dì di sabato santo, quando la beccheria era più fornita di carne, e' cittadini in moltitudine a comperarne, essendo venuto a un desco molto ben fornito di castroni,[...]” </span><br /><br />Considerando il frenetico commercio di questo tipo di carne, soprattutto nel periodo antecedente alla Pasqua, è doveroso dire che su questo alimento venivano fatti dei veri e propri investimenti: meno irritabile della mucca, e più agile in pascoli scoscesi, la pecora bruca l’erba più a fondo ed è, fra l’altro, più feconda; questi aspetti non sfuggirono agli investitori su piccola scala che valutarono la possibilità dell’allevamento di pecore e le trovarono vantaggiose. Furono molti i cittadini, ma anche i contadini, che adoperarono i loro guadagni o i loro risparmi per acquistare importanti quantità di animali: alcune volte l’allevatore riceveva un gregge che doveva restituire al suo finanziatore in due o tre anni, tenendo per sé la metà degli agnelli nati nel frattempo, altre il padrone indebitato cedeva la proprietà con contratti di vario tipo, pascolo, soccida, allevamento ecc. Il pastore, o l’antico proprietario, assicurava il mantenimento delle bestie e divideva con l’altra parte le spese e i profitti, che non dovevano essere affatto scarsi se nel Trecento a Firenze si consumavano circa 60 mila ovini tra montoni e pecore [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-21051357218504279842009-08-19T21:05:00.000+02:002009-08-19T21:37:50.128+02:001.4 Il piccolo allevamento domestico<div style="text-align: justify;">Notevole importanza doveva avere il piccolo allevamento domestico. Polli, galline e capponi, con ogni probabilità, zampettavano sia nei cortili di ogni famiglia contadina che sui terreni signorili; la loro presenza significava avere a disposizione carne in primo luogo, e poi uova, senz’altro in gran numero. È impossibile, naturalmente, esprimere in cifre l’incidenza dei polli e delle uova nel regime alimentare. Può aiutarci il fatto che fra i rifiuti di cucina gli scavi archeologici hanno rinvenuto grandi quantità di ossa di gallina, che fanno presumere ad un consumo piuttosto elevato. Senza trascurare la posizione di privilegio di cui i polli talora godevano, rispetto agli altri tipi di carne, nelle consuetudini alimentari monastiche. La carne squisita e sostanziosa del cappone, lo rendeva tra le pietanze predilette dell’epoca: era costume servirlo sulla tavola per celebrare un evento speciale. Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cxxiii.html" target="_blank">CXXIII</a> è proprio un evento felice che fa da cardine alla vicenda ambientata nel castello di Pietrasanta a Lucca. Il contadino Vitale, per festeggiare il figlio studente che torna da Bologna, fa preparare un pranzo (al quale è invitato anche il prete) a base di cappone arrosto. Restia all’iniziativa è la matrigna del giovane che non perde mai l’occasione di inveire contro il marito. La donna vede diminuire i soldi di famiglia giorno dopo giorno perché vengono spesi per far studiare il figliastro:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“[...] io mi credo che tu se' ingannato, e che costui, a cui tu mandi ciò che puoi fare e dire, sia un corpo morto, e consumiti per lui. E in questa maniera la donna s'avea sí recato in costume di dire questo corpo morto che come il marito mandava o denari o altro, cosí costei era alle mani, dicendo al marito: </span><br /><span style="font-style: italic;">- Manda, manda, consumati bene, per dar ciò che tu hai a questo tuo corpo morto.” </span><br /><br />Quelle parole giungono agli orecchi del ragazzo durante il soggiorno a Bologna e, quando gli viene chiesto di dividere un cappone “per grammatica”, egli fraziona l’animale in modo da averne la parte centrale, quella più consistente, e distribuisce le parti più scarse del cappone agli altri membri della famiglia sulla base di giustificazioni serie solo in apparenza:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“Recasi il cappone innanzi, e piglia il coltello, e tagliandogli la cresta, la pone su uno tagliere e dàlla al prete, dicendo: </span><br /><span style="font-style: italic;">- Voi siete nostro padre spirituale e portate la cherica; e però vi do la cherica del cappone, cioè la cresta. </span><br /><span style="font-style: italic;">Poi tagliò il capo, e per simile forma lo diede al padre, dicendo: </span><br /><span style="font-style: italic;">- E voi siete il capo della famiglia, e però vi do il capo. </span><br /><span style="font-style: italic;">Poi tagliò le gambe co' piedi, e diedele alla matrigna, dicendo: </span><br /><span style="font-style: italic;">- A voi s'appartiene andar faccendo la masserizia della casa, e andare e giú e su, e questo non si può far senza le gambe; e però ve le do per vostra parte. </span><br /><span style="font-style: italic;">E poi tagliò li sommoli dell'alie, e puoseli su uno tagliere alle sue sirocchie, e disse: </span><br /><span style="font-style: italic;">- Costoro hanno tosto a uscire di casa, e volare fuori; e però conviene abbiano l'alie, e cosí le do loro. Io sono un corpo morto: essendo cosí, e cosí confesso, per mia parte mi torrò questo corpo morto -; e comincia a tagliare, e mangia gagliardamente.” </span><br /><br /><div style="text-align: justify;">La spartizione della carne doveva essere eseguita con metodo: le porzioni più consistenti andavano sempre al capo famiglia. In questo contesto sembra quasi di assistere ad una riproposizione, in chiave ovviamente parodistica, del rituale del sezionamento e della spartizione della carne. La vicenda svela che anche il metodo di tagliare la vivanda poteva essere determinante, soprattutto se si voleva godere delle parti [...]<br /></div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-87274399882123415532009-08-19T21:00:00.002+02:002009-08-19T21:38:03.850+02:001.5 Cavalli, muli e asini<div style="text-align: justify;">Nella raccolta del Trecentonovelle (<a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/messer-dolcibene-essendo-con-messer.html" target="_blank">X</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/uno-giovene-sanese-ha-tre-comandamenti.html" target="_blank">XVI</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/due-ambasciadori-di-casentino-sono.html" target="_blank">XXXI</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/ferrantino-degli-argenti-da-spuleto.html" target="_blank">XXXIV</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccxiv.html" target="_blank">CCXIV</a>, <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/tre-fiorentini-ciascuno-di-per-se-e-con.html" target="_blank">XXXVI</a> ecc.) gli equini, invece, compaiono esclusivamente come nobili mezzi di trasporto per le persone o nella veste di generosi trasportatori di merce; non appaiono tuttavia riferimenti gastronomici in merito alla loro carne. Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/messer-dolcibene-essendo-con-messer.html" target="_blank">X</a> il cavallo è il fidato corsiero del secondo cavaliere di corte Messer Dolcibene, nella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/uno-giovene-sanese-ha-tre-comandamenti.html" target="_blank">XVI</a> è un semplice mezzo per gli spostamenti di un giovane senese:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“E sceso giuso, e salito a cavallo, cavalcò verso Siena quasi quattro balestrate, e poi diede la volta ritornando passo passo e cheto verso l'albergo donde si era partito;[...]” </span><br /><br />Anche nella Novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/due-ambasciadori-di-casentino-sono.html" target="_blank">XXXI</a>, che ha come protagonisti due ambasciatori del Casentino, il suo ruolo è puramente marginale: “- Saliamo a cavallo, e andiamo con Dio; forse tra via pur ce ne ricorderemo.”. Invece nella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccxiv.html" target="_blank">CCXIV</a> l’animale viene utilizzato per trasportare un porco rubato e appena ucciso da alcuni contadini. La mole del maiale e il percorso malagevole riducono la ronzina allo stremo delle forze:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“[...] e poi con gran pena e con grande affanno, consumando grand'ora della notte, il puosono su la ronzina; e a grande stento, camminando con la cavalla, che molto male potea quella soma, giunsono alla magione del gentiluomo; là dove la ronzina giunse stracca, e in fine guasta, che mai piú non fu da farne conto.” </span><br /><br />Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/tre-fiorentini-ciascuno-di-per-se-e-con.html" target="_blank">XXXVI</a> è il fedele destriero che conduce il fiorentino Geppo Canigiani a Firenze in tempo per avvisare i Signori di un’imminente guerra con i Pisani:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“E così salito a cavallo, a spron battuti n'andò al palagio de' Priori a smontare; e andato dinanzi a' Signori, disse che venía da San Casciano, e ch'e' nimici con grandissimo romore ne veníano verso Firenze.” </span><br /><br />Non c’è da meravigliarsi, in effetti il cavallo veniva trattato come un confidente: l’aratore gli parlava nei campi, il guerriero pochi istanti prima della carica, il mercante nelle scuderie, la dama in viaggio; era un vero e proprio simbolo di prestigio e perfino di dominio sugli altri, tanto che il nobile del Medioevo si distinse in primo luogo come possessore di un cavallo, come cavaliere. Inoltre, il suo impiego come bestia da soma, soprattutto nell’Europa del Nord, gli riservava un ruolo di primo piano nella storia del lavoro (ad esclusione dell’alto Medioevo). Paradossalmente l’attenzione riservata a questo animale, al suo addestramento e alle sue cure, ha restituito ai posteri più trattati di ippiatria che di pediatria .<br />Le novelle del Sacchetti ci hanno presentato il cavallo come elemento di distinzione sociale, come abile animale da sella e da fatica, ma un quesito rimane tuttavia scevro di risposta certa: la carne della bestia, vecchia o ferita, veniva anche consumata? È probabile che [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-26274071647437859412009-08-19T20:55:00.000+02:002009-08-19T21:38:18.933+02:002.1 Fauna e tecniche venatorie<div style="text-align: justify;">Nelle novelle del Sacchetti la caccia viene essenzialmente praticata dal ceto nobiliare, i contadini e gli artigiani allevano gli animali presso i loro cortili o li acquistano già macellati al mercato. Ciò non significa che le classi più povere non praticassero questa attività, sicuramente non la disdegnavano, ma la esercitavano in maniera più ridotta rispetto ai nobili.<br />Per avere quantomeno un’idea di quali potevano essere gli animali preda delle classi meno agiate, consideriamo la novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-clxxxvii.html" target="_blank">CLXXXVII</a>: Messer Dolcibene viene invitato a mangiare dal piovano della Tosa un coniglio in crosta. Anche se la pietanza risulta essere una gatta, questo dato è, in ogni caso, sintomatico: la selvaggina di piccola taglia veniva consumata e forniva un apporto alimentare rilevante e regolare alla tavola. Nel caso del coniglio, poi, bisogna dire che la sua carne era molto apprezzata: più, sembra, di quella di lepre, troppo dolciastra e secca Nella stessa vicenda, Messer Dolcibene decide di vendicare lo scherzo subito preparando un piatto a base di piccioni e topi da offrire al pievano:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“Giammai non gli uscí questo fatto della mente, fin a tanto che venendo la figliatura delli stornelli, de' quali era molto copioso a un suo podere in Valdimarina, e in quello tempo provvide di pigliare con trappole e con altri ingegni in un suo granaio parecchi sorgi, acciò che gli avesse presti e ordinò con un suo fante che una gabbiata di stornelli gioveni, mescolatovi alcuno pippione, recasse dopo desinare quando lo vedesse col piovano al Frascato, e paresse gli portasse in mercato a vendere, dicendo con lui: «Per quanto volete voi che io gli dia?»” </span><br /><br />In questo caso sia il coniglio sia i piccioni facevano parte di quella moltitudine di animali diffusi un po’ ovunque e che normalmente venivano catturati nella pianure o nei boschi, ma nella novella non è dato sapere se erano stati allevati o prede.<br />Emerge dalla lettura un altro elemento su cui vale la pena soffermarsi: Messer Dolcibene cattura i topi “con trappole e con altri ingegni”; anche se i roditori costituiscono l’oggetto di uno scherno, è utile sottolineare che per acciuffare le prede di piccola taglia vi erano delle tecniche specifiche: l’arma più comune era l’arco, talvolta impiegato con frecce avvelenate; dopo il loro uso, era ovviamente necessario incidere la carne dell’animale attorno al punto colpito, per evitare di ingerire la sostanza velenosa, per lo più preparata con erbe tossiche; l’uso di questo strumento caratterizzava i momenti più ludici della caccia. Per la caccia da tiro si disponeva inoltre della fionda e della balestra ma, come ci suggerisce la novella, assai più diffuso doveva essere l’uso di trappole, fossi, lacci di ogni genere [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-76639215945508564322009-08-19T20:50:00.000+02:002012-02-15T20:51:27.193+01:003.1 Un alimento di facile reperibilità<div style="text-align: justify;">
La novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccix.html" target="_blank">CCIX</a> ci dimostra come fosse semplice pescare il pesce: Minestra de’ Cerchi, avvisato da una serva dell’esistenza di un’anguilla presso la fonte dove essa lavava le scodelle, non resiste all’idea di mangiarsela. L’uomo, nonostante sia costretto a nascondersi dai creditori, decide di recarsi insieme con la donna a catturare il pesce:<br />
<br />
<span style="font-style: italic;">“Il Minestra, udendo questo, ché già se la cominciava a manicare, disse:- Per certo, s'io dovesse essere preso, io non me ne terrei che io non v'andasse. E tolto un bucinetto che avea in casa da pigliare passere alle buche, andò alla detta fonte e menò seco la fante, però che elli non averebbe veduto la bufola nella neve, non che l'anguilla nella fonte.</span><br />
<span style="font-style: italic;"> E dicendo alla fante:</span><br />
<span style="font-style: italic;">- Vedila tu?</span><br />
<span style="font-style: italic;">Ella dice che sí; ed elli li dice come ella debbe adoperare quel bucine.</span><br />
<span style="font-style: italic;"> La fante, ubbidendo, in poco d'ora la tirò su nel bucine; e 'l Minestra cosí nella rete se la recò in mano dicendo: - Padella!” </span><br />
<br />
La golosità dell’uomo viene presto punita perché alla fonte trova ad aspettarlo due uomini, che per conto dei creditori lo costringono a pagare il debito: “E 'l Minestra, per paura di non v'essere staggito per altrui, subito trovò modo di pagare; e cosí gli costò cara l'anguilla.”.<br />
In questo episodio si nota come fosse facile pescare senza limiti nei ruscelli, nei torrenti, nei piccoli stagni che dappertutto si incrociavano con le terre coltivate: questo perché in molti casi il diritto consuetudinario garantiva a tutti l’esercizio della pesca. Con il passare del tempo, però, anche questa attività fu soggetta a progressive restrizioni che ne limitarono l’esercizio. Le limitazioni non intaccarono il carattere popolare della pesca di cui abbiamo detto. Il pesce veniva sia pescato che consumato dalla gente comune; nel Trecentonovelle constatiamo come questo alimento sia accessibile alle classi meno fortunate: viene pescato da un umile albergatore (<a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccxvi.html" target="_blank">CCXVI</a>) oppure viene servito sulla tavola di famiglie modeste (<a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-cci.html" target="_blank">CCI</a>).<br />
Questa soluzione fu dettata dal desiderio di tutelare non tanto la proprietà, quanto la natura, ossia la fauna ittica, bisognosa di essere difesa dallo sfruttamento troppo intenso cui essa andò incontro in epoca pieno e bassomedievale, a causa dell’aumento della popolazione [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7747367532185299307.post-22126921445851906492009-08-19T20:45:00.000+02:002009-08-19T21:39:09.912+02:003.2 Tecniche di cattura<div style="text-align: justify;">Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccix.html" target="_blank">CCIX</a> emergono due elementi particolarmente sintomatici: l’anguilla viene trasportata dai messi alla fonte all’interno di un orciuolo d’acqua:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“[...] eglino andorono tanto cercando a' pescatori ch'egli ebbono una anguilla viva di circa due libbre, e con questa in uno orciuolo d'acqua se n'andorono verso la Badía a Candegghi;[...]” </span><br /><br />Questo ci fa pensare che le difficoltà di trasporto di questo animale non dovevano essere poche: l’anguilla, tuttavia, per la sua capacità di sopravvivenza all’interno di ceste piene d’erba per parecchi giorni, riusciva ad essere trasportata pure nelle zone più lontane dalle coste e dai laghi; anche per questa ragione, dunque, doveva essere tra i pesci più consumati sulle tavole medievali, con la lampreda e la tinca. L’anguilla viene catturata con un reticello ma l’operazione risulta molto complicata a causa della scivolosità dell’animale, dettaglio confermato dall’esperienza quotidiana.<br />Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccviii.html" target="_blank">CCVIII</a> apprendiamo, invece, che i granchi venivano pescati “con ami e con lenze e con reticelle di minore maniera”. Nella novella <a href="http://alimentazionemedievale.blogspot.com/2009/08/novella-ccxvi.html" target="_blank">CCXVI</a> non sono gli arnesi a determinare una buona pesca bensì l’influsso dei corpi celesti. Alberto della Magna si reca in un albergo lombardo per riposare e ristorarsi. Nota moltissime reti per pescare e, vinto dalla curiosità, chiede delucidazioni sulla quantità di pesce pescato dall’albergatore. L’uomo desolato gli risponde mestamente che non ne riesce a prendere mai abbastanza. Alberto decide così di fabbricare un pesce di legno per aiutarlo. Gli spiega che quell’oggetto, legato alla rete, gli consentirà di catturare un numero di pesci così grande che potrà maritare le sue figliole:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“Allora maestro Alberto, innanzi che la mattina si partisse dall'albergo, ebbe fabbricato un pesce di legno, e chiamò a sé l'oste e disse:</span><br /><span style="font-style: italic;">- Togli questo pesce, e legalo alla rete quando tu peschi, e piglierai con esso sempre grandissima quantità di pesci;[...]” </span><br /><br />Il giorno dopo Alberto parte per la Germania e il pescatore pesca in abbondanza fino a diventare ricco da maritare le sue sette figliole. Ma un giorno la fortuna gli gira le spalle: il pesce di legno si sgancia dalla rete e finisce nel Po. Da quel momento l’uomo cade in disgrazia e, per porre fine alla disperata situazione, decide di recarsi in Germania per chiedere ad Alberto un altro amuleto. Ma ciò non è più possibile perché gli astri non sono più disposti a conferire quelle virtù benefiche all’oggetto di legno:<br /><br /><span style="font-style: italic;">“- Figliuol mio, ben vorrei poterti fare quello che mi addomandi; ma io non posso; però che io ti fo assapere che quando ti feci quello pesce che io ti diedi, il Cielo e tutti i pianeti erano in quell'ora disposti a fare avere quella virtú a quel pesce; e se io o tu volessimo dire: questo punto o questo caso può ritornare, che un altro se ne possa fare con simile virtú, e io ti dico di fermo e di chiaro che questo non può avvenire di qui a trentasei migliaia d'anni: sí che or pensa, come si può rifare quello che io feci.” </span><br /><br />L’oste è così condannato a rimanere povero per sempre.<br />La vicenda ci dimostra come era tutt’altro che insolito [...]</div>Unknownnoreply@blogger.com0